Da calciatore giramondo a direttore sportivo dalle mille culture: intervista a Simone Quintieri

L'intervista esclusiva di 90min a Simone Quintieri, ex calciatore giramondo e oggi direttore sportivo
Simone Quintieri | 90min Italia
Simone Quintieri | 90min Italia / 90min Italia
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"Per il ruolo di direttore sportivo è fondamentale sapere le lingue e avere un'ampia cultura di tutti i posti e giocatori. Come abbiamo visto, può arrivare un Kvaratskhelia e se conosci la mentalità georgiana parti avvantaggiato. Essendo stato un globe-trotter da giocatore dispongo di un'arma in più da direttore": parla con sicurezza Simone Quintieri quando spiega come il calcio si sia globalizzato, come abbia aperto i suoi orizzonti fino a diventare competitivo anche nel punto più lontano del mondo. Mondo che lui, da calciatore professionista, ha girato in lungo e in largo, che ha conosciuto, che lo ha arricchito umanamente e dal punto di vista professionale. Già, perché da quando ha appeso gli scarpini al chiodo per indossare gli abiti eleganti del dirigente, Quintieri intende sfruttare la sua approfondita conoscenza del mondo per avere una marcia in più nelle vesti di direttore sportivo, con il diploma conseguito al termine del corso promosso dalla FIGC in una tasca e la tanta voglia di mettersi alla prova nell'altra.

Nell'intervista che ci ha gentilmente concesso, Quintieri ha ripercorso la sua carriera da calciatore globe-trotter e ci ha parlato dell'importanza della multiculturalità per un direttore sportivo al passo coi tempi.

Da calciatore hai girato il mondo, quali sono state le tappe della tua carriera?
"Ho iniziato in Calabria, poi a 13 anni sono andato alla Lucchese, son cresciuto in un settore giovanile molto importante. Ricordo la vittoria contro il Real Madrid al Torneo Maestrelli. Ne sono usciti tanti che poi hanno fatto esperienza a livello internazionale. Dopo Lucca, sono andato a Livorno, ho fatto il Torneo di Viareggio con Giorgio Chiellini, poi ho vinto l'Eccellenza con Claudio Chiellini, attuale dirigente della Juve. Ho fatto diversi anni tra Serie D e Lega Pro, poi nel 2010 c'è stata la svolta: ero all'Igea Virtus in Lega Pro e ho avuto il salto approdando in Indonesia. Sono stato il secondo ad andarci dopo Accardi. È stata una bella esperienza di vita e mi sono divertito tanto. Da lì sono andato in Malesia, anche lì molto importante. Poi sono diventato il primo italiano in Kuwait: in una tournée in Qatar il mio procuratore mi ha contattato per andare all'Al-Jahra. Anche lì una bella esperienza. Ho fatto abbastanza bene. Poi ho fatto un anno al Miami United, ancora doveva partire il Miami di Beckham e Messi. Sono andato a Malta con Zeman e in Israele per 6 mesi, anche se non ho mai firmato perché la situazione era un po' così. Ho finito in Germania in terza divisione. Ho avuto un giro di culture, con tournée tra Vietnam e Cina. Ho arricchito la mia esperienza culturale. Appesi gli scarpini al chiodo, ho iniziato a lavorare con l'Empoli come responsabile scouting per tutto il centro-sud. Dopodiché ho preso il patentino UEFA B, sono stato il secondo di Zeman a Messina, ma ho capito che non ero portato per fare l'allenatore. Ho deciso allora di prendere il titolo da direttore sportivo. Sono contento, ho raggiunto un titolo importante".

Come può aiutarti l'esperienza da giramondo nel ruolo di direttore sportivo?
"Conosco tante culture e parlo diverse lingue. Mi sento avvantaggiato rispetto agli altri. Sappiamo che quando prendi un giocatore si deve adattare, crearsi un suo percorso. Se conosci la cultura musulmana, quella senegalese, quella malesiana o indonesiana, sai anche come scherzare con loro. L'aver girato 8 anni all'estero per me è stato una grande cosa".

Prendere giocatori dai principali campionati è ormai diventato economicamente proibitivo. Si apriranno nuovi mercati con maggior attenzione alle leghe più "esotiche"?
"Sì, ormai il calcio è diventato un business mondiale, non più europeo. Io sono stato uno dei primi a trasmettere questa mentalità al calcio italiano. Quando sono andato in quei paesi, mi chiamavano giocatori di Serie B perché volevano venire. Il calcio ormai si è eguagliato: la terza divisione svizzera è uguale alla terza divisione italiana. Chi la pensa diversamente è molto indietro. Questa è la realtà. Il giocatore forte può nascere ovunque, in Italia o in Uzbekistan. Il direttore deve avere un'ampia veduta sulle varie culture, su come prendere i giocatori e farli rendere al massimo.

A proposito di acquisti, il ruolo di ds sta vivendo una fase di transizione: da un tipo di mercato fatto d'intuito, quasi di pancia, si sta passando a un altro dettato dagli algoritmi. Tu a quale scuola di pensiero appartieni?
"Il calcio o lo sai fare o non lo sai fare. O lo sai vedere o non lo sai vedere. Gli algoritmi ti aiutano tanto, anche io li uso. Ma dietro a tutti questi elementi dev'esserci una mente umana che ha fatto calcio. Si sono tutti improvvisati Moggi, ma ce n'era uno di Moggi che non aveva giocato a calcio e che sapeva far calcio. Se fossero esistiti algoritmi e intelligenza artificiale in passato, i vari Gattuso e Chiellini non li avremmo mai presi. Un bravo direttore deve saper vedere altre caratteristiche che chi ha un occhio allenato guardando partite su partite deve avere. L'intelligenza artificiale è importante, ma dev'essere guidata da gente con un'esperienza unica, devi saper fare una scrematura e scegliere il migliore. Abbiamo visto giocatori acquistati perché avevano dei valori alti per l'algoritmo, poi il calcio è un gioco funzionale. La Juve ha vinto tutto con Torricelli e Di Livio che a livello di numeri non erano al top. Silva [Santiago, detto El Tanque, argentino acquistato dalla Fiorentina dal Boca Juniors nel 2011, ndr]. aveva expected goals altissimi, ma in Italia non segnava. La bravura del direttore è saper scegliere, capire la mentalità e capire in che modo farla adattare al contesto per far rendere il giocatore al massimo".

Secondo te quale ds in Italia ha quest'occhio particolare per i giocatori?
"A me piace tanto Giuntoli, mi rivedo tanto in lui. In tantissimi aspetti però siamo differenti. Io ho il mio modo di vedere il calcio, sono molto semplice: c'è chi sa giocare e può farlo a determinati livelli e c'è chi non sa giocare. Magari posso essere un rivoluzionario, una novità ottima per i presidenti, fare una squadra di B o A a costi contenuti. Mi serve un'opportunità per mettere in mostra le mie qualità".

Siamo abituati a vedere all'opera direttori sportivi "fatti e finiti", già formati, ma come si svolgono le lezioni del corso?
"Abbiamo avuto un corso davvero fondamentale. Sono venuti Buffon, Ausilio, Giuntoli, Bigon, Ludi del Como. Hanno fatto lezione anche Piani e Fusco. Ero entrato a Coverciano con un'idea di direttore sportivo, ne sono uscito con un'altra un po' diversa. Il corso mi ha aiutato a crescere sul piano professionale, mi hanno dato una grandissima mano a capire come valutare le situazioni. Il ds è l'ago della bilancia tra società e spogliatoio. Deve trasmettere alla società il giusto messaggio da entrambe le parti, porta equilibrio. Il giocatore dev'essere sereno e la proprietà certa che renda al massimo. Il direttore deve scegliere mister e giocatori. Con l'allenatore dev'esserci un dialogo costruttivo. È come un padre che deve ascoltare i figli ma poi prendere la decisione migliore".

La classe del corso da direttore sportivo
La classe del corso da direttore sportivo / Sito ufficiale FIGC

Prima hai citato Buffon, recentemente nominato primo ds della Nazionale italiana. Come cambia il ruolo rispetto al club?
"Buffon in Nazionale fa la differenza. Deve fare una scrematura, perché il livello è più basso rispetto al passato. La prima differenza è che quando fai il direttore in un club hai una visuale più vasta, puoi prendere extracomunitari e giocatori da altri paesi, in Nazionale hai un occhio diverso. Devi vedere il meglio degli italiani. È un incarico prestigioso, ma è anche molto più limitante in certi aspetti".

Cosa può fare un club per limitare il potere dei procuratori?
"Ti rispondo in due minuti: ho giocato per 17 anni da professionista e non ho mai avuto un procuratore. I più forti avevano i parenti, come Del Piero il fratello. Non è mai il procuratore che fa grande il giocatore, ma il giocatore che fa grande il procuratore".

Chiudiamo con una "profezia": a tuo avviso quale paese "esotico" va tenuto d'occhio perché in futuro sfornerà grandi talenti?
"L'Indonesia. Farà i Mondiali e farà anche molto bene, come già dissi per il Marocco".

Puoi darci un nome o è chiedere troppo?
"Scusami ma non posso, altrimenti me lo rubano. Ho un nome indonesiano molto forte".


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