Gli spunti principali emersi dalla prima conferenza stampa di Tudor alla Juve
- Il DNA bianconero non basta: alla larga da una narrazione semplicistica
- Niente dogmi dal punto di vista tattico
- Vlahovic come risorsa centrale da recuperare

Se c'è una lezione che i cambi in panchina possono lasciare, al di là degli esiti che un esonero o un avvicendamento sanno produrre a livello di punti, riguarda i concetti di normalizzazione e di equilibrio: il caso di Ranieri e della Roma nella stagione in corso è stato emblematico e ha trovato anche il pieno riscontro dei risultati, mostrato quanto l'esperienza del tecnico abbia saputo sistemare ciò che appariva compromesso. Il caso della Juventus, nel giorno della presentazione di Igor Tudor come allenatore in sostituzione dell'esonerato Thiago Motta, ci permette di scoprire questo lato del tecnico croato, perlomeno nelle intenzioni e nel modo di porsi a livello comunicativo: nessun pugno duro, nessuna bacchetta magica da ostentare, ma la perfetta consapevolezza di quanto vani siano i proclami e di quanto vano sia - soprattutto - un vuoto richiamo alla juventinità come soluzione di tutti i mali.
Dal DNA al campo
Tudor ha spiegato quanto il tanto inflazionato richiamo all'appartenenza valga poco se lasciato da solo: "C'è appartenenza, ma non conta quello, altrimenti prendi il più grande tifoso per vincere" è un discorso che chiarisce quanto pretestuoso sia porre la questione banalmente sul fronte del DNA. Un Tudor intenzionato a leggere negli occhi della sua squadra e soprattutto, perlomeno nelle intenzioni, lontano da una dogmatica applicazione tattica disposta a priori: in questo senso si può leggere - a livello teorico - il principale tratto di discontinuità rispetto a un Thiago Motta ancorato al suo 4-2-3-1 e a principi di gioco non negoziabili, tanto da porre il concetto prima degli uomini concretamente a disposizione (con annesse variazioni particolarmente audaci a livello di ruoli dei vari interpreti).
Tudor si è riferito senz'altro a un'idea di calcio ("Voglio gente che si diverta, sennò il calcio va in una direzione meno interessante") ma ha ribadito di non voler passare necessariamente da una ricetta tattica predefinita e astratta rispetto al "materiale" a disposizione. Il nuovo tecnico bianconero non ha indicato come scontato il passaggio alla difesa a tre, appare comunque evidente che - alla lunga - un assetto diverso dal 3-4-2-1 finirebbe per sorprendere: le ultime esperienze in panchina (anche fortunate) hanno avuto quel modulo come filo conduttore ed è logico, anche se magari non già dalla prima uscita, immaginarla come direzione naturale in linea di principio.
Un rilancio cruciale
Un altro aspetto cruciale che troverà traduzione sul campo riguarda Dusan Vlahovic: al netto delle parole di stima adoperate da Thiago Motta è evidente che il rapporto col serbo non fosse più idilliaco ed è altrettanto chiaro che Muani, nelle idee dell'ex tecnico bianconero, fosse diventato il sostituto dello stesso Vlahovic. La situazione dovrebbe riequilibrarsi con Tudor che, già in passato, ha fatto capire di vedere nel serbo un potenziale leader, tecnico oltre che carismatico, e di ritenerlo una risorsa in senso assoluto: la missione più delicata diventa quella di lasciare sullo sfondo il tema di un rinnovo ormai in eterna (e inevitabile) fase di stallo. Missione che si affianca, come ovvio che sia, al tema tattico di rendere sostenibile la coppia Vlahovic-Muani e di capire in che contesto inserirla (se 3-4-2-1 con Muani largo o 3-4-1-2 con un trequartista alle spalle dei due).
Per compiere il percorso di riscatto del numero nove occorrerà, prosaicamente, comprendere (da entrambe le parti) quanto un Vlahovic a pieno regime possa servire alla corsa Champions e quanto un buon finale di stagione possa aiutare il centravanti a scrivere il proprio futuro, anche se lontano dalla Continassa. Un ulteriore aspetto cruciale, a livello comunicativo, è il richiamo costante al presente come unico giudice, senza voli pindarici proiettati al futuro e senza gettare addosso alla squadra ulteriore pressione facendo la voce grossa: un'indole da normalizzatore, appunto, senza alcun intento di infiammare gli animi o di arruffianarsi a tutti i costi una piazza già delusa e amareggiata nei confronti della rosa.
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