I fragili presupposti logici di un confronto tra Allegri e Thiago Motta
La forza mediatica (per certi versi anche popolare) dell'istanza che vedeva in Massimiliano Allegri come il peso insostenibile da cui la Juventus doveva liberarsi, divenuta col tempo maggioritaria anche nel contesto bianconero, ha fatto sì che l'arrivo di Thiago Motta in panchina si accompagnasse alla volontà di paragonare i due percorsi, tracciando un prima e un dopo. La volontà dell'ambiente bianconero, non è un mistero, era quella di emanciparsi da un'idea speculativa di gioco, di un corto muso come cifra distintiva a cui appellarsi pragmaticamente. Esiste, lo si vide a suo tempo anche con l'arrivo di Sarri, una sorta di paradosso e di intoppo automatico quando in un ambiente in cui "vincere è l'unica cosa che conta" si prova ad affacciarsi su prospettive di respiro diverso: Allegri prima e Thiago Motta adesso, per ragioni differenti, ne hanno pagato e ne pagano lo scotto. Il fulcro del discorso risiede a monte in un contesto bianconero che non può, per forza di cose, permettersi di vedere nel successo la propria ragione d'essere, come condizione aprioristica.
Guardando oltre i numeri
La cornice di riferimento è mutata e lo ha fatto in modo ancor più dirompente nel corso dell'ultima estate, con un ringiovanimento sensibile della rosa e una riduzione del monte ingaggi. Non è retorica quella percorsa da Thiago Motta individuando in Inter e Napoli formazioni più competitive in ottica Scudetto, è un discorso di individualità e di fondamenta su cui una squadra è costruita: un discorso valido sia per astratto che - ancor di più - valutando la serie di infortuni e defezioni prolungate con cui i bianconeri si sono trovati (e si trovano) a fare i conti. Si scivola adesso in una sorta di paradossale rimpianto rivolto verso Allegri, proprio da parte di quel popolo che spesso confidava di liberarsene: dopo 14 giornate la Juve di Motta ha raccolto 26 punti (6 vittorie, 8 pareggi) mentre quella di Allegri ne aveva raccolti 33 (10 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta). La fisiologica ricerca di conforto del risultato diventa immediatamente ingenerosa nei confronti del nuovo tecnico, così come lasciano il segno i punti di distanza dalla vetta: ben 6 al momento, appena 2 lo scorso anno dopo la quattordicesima giornata.
Numeri che giustificherebbero in toto il partito dei nostalgici, riscattando la figura di Allegri dai suoi mesi di critiche anche aspre e di inviti social a farsi da parte. Accanto al tema degli infortuni, comunque centrale per capire il momento della Juve, esiste un novero di alibi ben fondati e logici su cui Thiago Motta può ancora contare: si sottolinea come la Juve di Allegri non avesse impegni europei da affrontare, specificando ancor di più come Motta si sia trovato spesso a dover spremere al massimo i pochi elementi a disposizione proprio per ovviare alle assenze forzate. Un percorso accidentato che ha dato modo al nuovo tecnico di puntare su risorse inattese e di rivelarsi coraggioso, dando fiducia a giovani fin qui fuori dal giro dei big: Savona è diventato a conti fatti un titolare, Mbangula ha saputo ritagliarsi uno spazio ed è chiaro come la NextGen sia diventata un serbatoio utile da cui attingere. Scenari e prospettive ben lontani da una concorrenza ricca di alternative d'esperienza, un quadro distante da contesti più rodati e attrezzati per ottenere fin da subito risultati confortanti.
Da Allegri a Thiago Motta: la zona grigia
La Juventus di oggi, a maggior ragione valutando gli stop forzati per infortunio, è quanto di più lontano dal concetto di instant team e rappresenta per certi versi un cantiere, un progetto di grande squadra. Occorre ricordare come, anche a Bologna, Thiago Motta abbia avuto bisogno di tempo per creare quella macchina quasi perfetta in grado di coltivare (e raggiungere) il sogno di una qualificazione in Champions League: siamo nella fase preparatoria, dunque, non in quella in cui si raccolgono i frutti del lavoro. Un confronto con Allegri, sul fronte dei risultati, appare forzato o comunque prematuro: nella stagione scorsa, del resto, dopo una prima parte da incorniciare la Juve è incappata in un periodo da incubo (da febbraio ad aprile) ed è andata a controbilanciare in negativo quanto costruito nei mesi precedenti. Esistono i presupposti per immaginare un percorso opposto della Juve 24/25, sia grazie al rientro in pianta stabile di Nico Gonzalez e Vlahovic che - in vista di gennaio - grazie al ricorso al mercato, soprattutto in difesa.
L'infortunio di Bremer ha tolto alla Juve il suo leader difensivo, quello di Cabal ha enfatizzato l'emergenza: il ricorso a Savona ha dato a Motta una soluzione in più ma è chiaro che la coperta sia corta e che serva un rinforzo di livello in aggiunta a Gatti, Kalulu e Danilo. Un gruppo profondamente rinnovato, senza elementi di grande esperienza, fa sì che occorra tempo ed è utile in questo senso il concetto di "zona grigia" descritto da Perin per raccontare i primi passi di questa Juve: quella stessa zona grigia che vide Motta già messo in discussione dopo una falsa partenza nel suo primo periodo bolognese, con un solo punto nelle prime quattro partite. Tra le righe esistono i semi di una Juventus diversa da quella di Allegri, un primo embrione che al momento non trova il timbro dei risultati ma che sarà la base necessaria per ciò che verrà: il tempo dei confronti (o persino dei rimpianti) ha un forte richiamo mediatico ma dovrà ancora aspettare qualche mese per trovare un senso logico.