La crisi di Real Madrid e Manchester City, parte 2
Tre settimane fa commentavamo le sconfitte di Real Madrid e Manchester City nel quarto turno di Champions League. La prima caduta al Bernabeu per mano del Milan; la seconda abbattuta al José Alvalade dall'ultimo Sporting di Amorim. Sembrava una fase transitoria, una crisi giunta quasi alla sua risoluzione, che la sosta per Nazionali avrebbe interrotto restituendo alle persone appassionate di calcio la normalità vissuta in questi ultimi anni: blancos e citizens che dominano, Ancelotti e Guardiola come allenatori ineluttabili.
Così non è stato, o almeno non ancora, e le conseguenze (anche propriamente fisiche) sono percebili sugli ambienti in fermento delle due società.
L'incredulità di Guardiola
E lo sarebbe stata di chiunque. Dominare una sfida, riassaporare finalmente quella sensazione che al Manchester City mancava da cinque partite consecutive, cinque sconfitte per essere precisi, e poi subire una rimonta utopica. Il tutto all'Etihad, nello stadio che ha visto uscire a testa bassa praticamente ogni squadra nell'era Guardiola.
Qualcosa può però andare storto anche nelle gestioni migliori, dei migliori, ricordando che è umano affrontare delle crisi e, in misura minore, anche che quel pallone d'oro consegnato a Rodri forse un po' di senso l'aveva. Pep Guardiola si è presentato nel post-partita con dei vistosi segni sul viso che ha affermato essersi procurato da solo con le sue unghie, per farsi del male - un messaggio ovviamente sbagliato chiarito dallo stesso allenatore con delle scuse pubbliche il giorno successivo sui propri canali social.
La testimonianza, in questo caso anche visiva, della frustrazione di un tecnico che non ha mai attraversato una crisi così profonda. Che forse per alcuni lati non sa nemmeno bene come gestirla a livello comunicativo (normale dato che si tratta di un tecnico che ha vinto 13 campionati in 16 stagioni) e al quale si chiede ora un ulteriore svolta per evitare che il Manchester City resti senza trofei. Il rinnovo fino al 2027 ha dimostrato la volontà della dirigenza dei citizens di allontanare le ombre Nazionali che aleggiano da tempo sul catalano e l'ufficializzazione dell'accordo in un momento mai così delicato sono la testimonianza anche della gratitudine eterna che il club di Manchester deve alla sua figura.
La fatica di Ancelotti
Vedere il Real Madrid sconfitto già 4 volte prima che cominci dicembre non è un qualcosa di comune nella capitale spagnola. Soprattutto se di queste quattro debacle, 3 sono giunte nella Champions League che fino a qualche mese fa i blancos dominavano in modo incontrastato. L'emergere di qualche forza alternativa era prevedibile, ma un calo di rendimento così drastico dei protagonisti principali sicuramente no.
Carlo Ancelotti, falcidiato dagli infortuni continui dei suoi interpreti migliori (da Militao, Carvajal e Alaba, fino a Tchouameni, Vinicius e Rodrygo), sta faticando contro le squadre di pari o superiore livello negli appuntamenti più importanti della stagione. Nella conferenza stampa pre-partita contro il Liverpool ha risposto piccato alla domanda di un giornalista riguardante una possibile gestione migliore dei suoi calciatori per prevenire gli infortuni: "Sento tante cose, ma non bisogna dimenticarsi che ho fatto quasi 13000 partite, con 1300 formazioni e quasi 4000 cambi. Nessuno qui può darmi consigli".
La sconfitta di Liverpool, meritata dai blancos, non solo ha allontanato le possibilità di qualificazione tra le prime 8, ma ha anche allarmato, considerando il momento buio, nell'ottica di riuscire a rientrare tra le prime 24 della classifica. Al di là di infortuni e solidità difensiva precaria, il Real Madrid deve scuotersi il prima possibile per evitare un clamoroso mancato accesso ai Playoff da Campione d'Europa in carica.