La Joya che canta e porta la croce: cos'è Dybala per questa Roma
Le prime dieci giornate di un campionato non possono certo spostare, in toto, l'identità di un dato calciatore e non possono ribaltare definitivamente il suo racconto: esistono cioè questioni di circostanza, aspetti fortuiti e passeggeri, che portano un certo giocatore a reinventarsi o a vestirsi di panni diversi dal solito, anche tappandosi il naso, per rispondere alle esigenze del momento. Non si tratta comunque di un aspetto banale, diventa anzi una questione dirompente se quel giocatore costretto a reinventarsi è lo stesso che - a fine mercato - sembrava già coi bagagli fatti in direzione Saudi Pro League, seguendo il richiamo di un contratto iperbolico.
Gladiatore o martire? Luci e ombre del Dybala leader
La metamorfosi di Paulo Dybala racconta tanto di questa Roma e ci propone anche un piano diverso di lettura rispetto all'argentino, racconta da un lato una virtù e dall'altro un tema critico. La virtù, va da sé, è quella associabile a un calciatore di talento - uno in grado di fare la differenza come pochi in Serie A - che nonostante le sirene del mercato riesce a farsi concretamente Gladiatore, come da nota ispirazione cinematogafica, facendosi carico di compiti generalmente associati ad altri. Sacrificio nell'inseguire l'avversario, capacità di leggere l'azione anche in fase di non possesso, volontà di ripiegare quando necessario: tutti aspetti che, anche agli occhi della piazza, rafforzano ulteriormente il ruolo di leader dell'argentino, lo rendono una sorta di "martire" sull'altare di un momento no.
Il lato oscuro è quello, ovviamente, di compensazione: Dybala si è trovato implicato in "faccende non sue" testimoniando assenze o lacune in altre zone del campo, dovendo soprattutto arretrare per trovare palloni giocabili e tramutandosi da rifinitore a regista puro (persino con indole da mediano). Contro l'Inter e contro la Fiorentina è apparso evidente il peso di questo lato oscuro e il contributo della Joya, la sua generosità nell'arretrare il raggio d'azione e la sua voglia di farsi carico della squadra, ha fatto sì che - per forza di cose - risultasse meno presente nelle zone in cui (da sempre) sa fare più male.
Una situazione che, tra l'altro, è risultata spesso più "accidentale" che non auspicata realmente da Juric: il tecnico giallorosso a margine della sfida con l'Inter ha apertamente ammesso di voler "limitare quelle corse indietro", riconoscendo la natura circostanziale della situazione e sottolineandola in chiave tutto sommato negativa (in una visione di squadra, di lacune da compensare). Quanto accaduto contro il Torino ha testimoniato ulteriormente la versatilità dell'argentino e il suo spirito da condottiero: da "regista per caso" a falso nove, mantenendo però lo stesso atteggiamento generoso e propositivo visto in precedenza, come bagaglio positivo a cui non rinunciare anche quando - con Juric in panchina o meno - le nuvole si saranno diradate.