La voglia di Juve, il no all'Atalanta e il sogno Champions: Berardi si racconta

Domenico Berardi
Domenico Berardi / Luca Amedeo Bizzarri/GettyImages
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Domenico Berardi è finalmente tornato a vedere la luce in fondo al tunnel. Dopo essersi messo alle spalle il brutto infortunio al tendine d'Achille, il fantasista classe '94 è tornato in campo nella sfida di Serie B tra Sassuolo e Cittadella, impiegando pochi minuti per sfornare grandi giocate come nell'assist per il definitivo 6-1 di Thorstvedt. Adesso Mimmo può guardare al futuro, dove non è escluso un addio ai neroverdi. Ad ammetterlo è stato lui stesso nell'intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, dove ha anche svelato alcuni retroscena di mercato che l'hanno visto protagonista.

Perché tutti questi anni al Sassuolo?
"Perché questa è la mia seconda famiglia e non è un modo di dire. Non dimenticherò mai il rapporto con il dottor Squinzi e sua moglie, che mi hanno trattato come un figlio e mi hanno fatto crescere. Era amore reciproco. E anche con Giovanni Carnevali c’è un legame simile".

È vero che tutto è iniziato con una partita di calcetto?
"Tutto vero. E sia chiaro: la vinsi da protagonista eh... Anche perché sennò chissà dove sarei adesso. Non riuscivo a fare un provino. Quella volta fui fortunato anche perché calcio e calcetto sono due sport diversi. Ma Pasquale Di Lillo, l’unico che conoscevo in quella partita, si attivò e chiamò Luciano Carlino, allenatore degli Allievi del Sassuolo. Andai al campo e dopo due giorni Gianni Soli, responsabile del settore giovanile, mi disse: “Chiama casa, tu non torni in Calabria”. E sono ancora qua".

Chi è il tuo idolo?
"Robben: avevo il suo poster in camera. Poi, ovviamente, l’altro idolo era Messi".

Sull'infortunio:
"Mi è crollato il mondo addosso. Soffrivo per non poter aiutare il Sassuolo e perché all’Europeo tenevo molto. Quando stai fermo a lungo, puoi solo pensare e allora cercavo di ricordare le cose belle. Mia moglie Francesca e i nostri figli mi hanno aiutato davvero tanto, i primi due mesi sono stati durissimi. Vivevo buttato sul divano".

Ti senti un po' sottovalutato?
"Se guardo i numeri, un po’ sì. In fondo io ho giocato e segnato sempre in una squadra che non lottava per lo scudetto o per le coppe. Quella classifica dice che faccio parte di un gruppetto composto da grandi calciatori e io sono un esterno, non un centravanti. Mi sono sempre caricato contro squadre importanti e negli stadi mitici. Quando gioco a San Siro, per citarne uno, vivo il sogno di ogni bambino e do il massimo per dimostrare sempre di poter stare in un posto così magico. E mi godo un’altra soddisfazione: so di essere l’idolo indiscusso dei fantallenatori e va bene così".

Sulla leadership:
"Sì, nel mio ambiente ho sempre la battuta pronta. Due anni fa con Frattesi, Consigli e Marchizza qui era uno scherzo continuo. Organizzo cene, faccio gruppo"

Il rigore nella finale dell'Europeo:
"È stato un momento speciale. Ero carico. Ho deciso io di battere il primo rigore. Mi ero creato una bolla ed ero sicuro di me stesso. Vedevo lo stadio tutto bianco, mi accorgevo dei fischi ma era come se non li sentissi. Era solo rumore".

Sogni di tornare in Nazionale?
"Certo è un obiettivo. Sarebbe motivo d'orgoglio anche perché sono uscito dal gruppo per l'infortunio. Adesso ho ripreso a giocare ma devo lavorare per essere il Berardi di prima e meritarmela"

Le rinunce fatte per il Sassuolo:
"Fino a 26-27 anni non mi sentivo maturo. Io voglio giocare sempre e in quegli anni rifiutavo l'idea del turnover e della panchina. Forse era anche mancanza di fiducia nei miei mezzi, non credevo in me al 100%. Non ho rimpianti, nel frattempo ho capito, sono maturato e da due-tre anni sono pronto"

Il no all'Atalanta:
"Tre anni fa mi voleva l'Atalanta, ma dissi di no perché non ritenevo di essere adatto soprattutto dal punto di vista fisico a quel tipo di gioco".

La voglia di Juve:
"L'anno scorso volevo andare alla Juve, ma i club non si sono accordati. Io ci rimasi male, ho litigato con la società perché era il momento giusto. Ma poi ho voltato pagina e ho ripreso a dare tutto per il Sassuolo".

Il sogno di giocare in Champions:
"Da tre anni a questa parte ci penso sempre. La musica della Champions la voglio sentire dal campo. È un'ambizione profonda che voglio soddisfare".

I troppi cartellini:
"Entrava in azione il mio istinto calabrese. Mi provocavano e partiva la gomitata. Ho lavorato molto su questo aspetto a livello mentale e mi hanno aiutato tantissimo Di Francesco, De Zerbi e Dionisi".


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