Lazio e Fiorentina come esempi pratici di 'decrescita felice'
Nell'arco di pochi mesi possono cambiare tante cose, ciò che appare fallimentare può risollevarsi e ciò che al contrario incoraggia può rapidamente tramontare: un percorso in due direzioni che spesso sa essere repentino, privo di avvisaglie leggibili, difficile da intercettare o prevedere a priori. Si parla anche di abbagli, dunque, di somme tirate troppo in fretta e di processi condotti prima ancora che i fatti si compiano: lo sanno bene Fiorentina e Lazio, protagoniste di estati movimentate e arrivate - proprio nel corso dell'ultima estate - a vivere momenti di scetticismo palpabile, persino di scoramento diffuso nella piazza, come ad attendersi il più classico degli "anni di transizione" in cui tocca tapparsi il naso per poi andare oltre. Sensazione che, nel caso dei biancocelesti, è apparsa a tratti ben più accentuata, anche valutando l'atteggiamento critico verso la presidenza Lotito.
Ridimensionamento o ripartenza
Un approccio cavalcato anche da numerosi addetti ai lavori, approccio sicuramente condizionato dal principio ineludibile secondo cui - per sua natura - il cambiamento spaventa. E di cambiamenti i viola e i biancocelesti ne hanno attraversati numerosi e, soprattutto, profondi. Si è trattato, in entrambi i casi, di minare certezze e di dar vita a vere e proprie ristrutturazioni: il sottile confine tra ripartenza e ridimensionamento. Quest'ultimo concetto è quello che più di ogni altro ci racconta la sensazione estiva, quella poi ribaltata dai fatti: Raffaele Palladino e Marco Baroni come tecnici (seppur diversi) non in grado di infiammare una piazza o di far sognare in grande, i rispettivi big e i pilastri delle due squadre che se ne vanno e lasciano dietro di sé la sensazione di vuoti da riempire, lacune da colmare.
Da un lato Felipe Anderson, Luis Alberto e Immobile, dall'altro Milenkovic, Bonaventura e Nico Gonzalez: pezzi di storia recente, elementi vissuti a lungo come vitali per le sorti di Lazio e Fiorentina, profili attorno a cui costruire e non certo calciatori a cui rinunciare. Ad accomunare le due realtà, accanto a una piazza guardinga se non del tutto perplessa, c'è anche la scelta dichiarata di ridurre gli ingaggi e di puntare da un lato su profili da rilanciare (nel caso dei viola) e dall'altro su calciatori a caccia di una prima chance in una big (nel caso della Lazio). L'ombra dell'austerity come minaccia potenziale alle ambizioni, come acqua gettata sul fuoco dell'entusiasmo.
Decrescita felice: il Napoli 22/23 come faro
L'obiettivo di abbinare sostenibilità e risultati è ormai un imperativo costante anche per le realtà più solide, anche per chi si qualifica abitualmente alle competizioni europee, e si tratta di un input distante dalla prospettiva spesso ingenua e viscerale con cui il tifoso guarda alla propria squadra: si tratta però, a conti fatti, di una missione che spesso sa mostrare il proprio lato virtuoso anche sul fronte delle risposte di campo. Il caso più eclatante è rappresentato probabilmente dal Napoli scudettato del 2022/23, capace di vincere il titolo dopo aver visto partire Koulibaly, Insigne e Mertens in un colpo solo: un miracolo sportivo, un raro caso di alchimia eccezionale tra le varie parti, verosimilmente irripetibile (almeno nell'epilogo) ma che può illuminare anche altre situazioni, come appunto quelle di viola e biancocelesti.
Accanto al tema degli investimenti e delle piazze da assecondare, coi "no" agli addii eccellenti e coi colpi ad effetto, esistono faccende in grado di risultare persino più decisive e virtuose, non solo a lungo termine: il tema della fiducia nel tecnico scelto emerge con forza, basti pensare alla decisione di tenere Palladino in panchina nonostante un avvio negativo, d'altro canto si fa spazio anche il tema della coerenza tra i calciatori arrivati e gli input inviati dai due allenatori (Palladino e Baroni appunto). L'idea di progettare una rosa a immagine e somiglianza di un tecnico e la volontà di riporre fiducia nelle proprie scelte, anche se impopolari, finiscono per superare quella prima fase (fisiologica) di perplessità e dubbio che si prova di fronte al cambiamento: quello, cioè, che appare ridimensionamento ma è in realtà rinascita.