Perché un (improbabile) De Rossi bis potrebbe aiutare la Roma?
Per comprendere efficacemente il tipo di clima che circonda la Roma si può osservare l'impatto, pressoché nullo, dei successi (quando arrivano) sugli entusiasmi della piazza: le vittorie di misura contro Dinamo Kiev e Torino, precedenti rispettivamente al tracollo del Franchi e alla sconfitta di domenica al Bentegodi, hanno avuto il proverbiale effetto di un brodino, di una pacca sulla spalla, niente che riuscisse a risollevare l'ambiente o a lasciar immaginare un qualche idillio ritrovato. Questione di gioco, di modalità con cui le vittorie sono arrivate, ma ancor di più questione di strappi più profondi e radicati, slegati anche dal riscontro della classifica, dal punto in più o in meno.
DDR bis? Una prospettiva lontana
Una piazza che si sente "tradita" e inascoltata ha trovato sponda in valutazioni tecnico-tattiche rimaste indigeste, andando a generare (e poi ad amplificare) un senso di distacco con pochi precedenti, perlomeno rispetto all'attuale proprietà. Pochi dubbi sui semi della discordia, su quelle poche e surreali ore intercorse tra l'esonero di Daniele De Rossi e le dimissioni di Lina Souloukou: giorni che racchiudono in sé la natura schizofrenica o quantomeno controintuitiva della situazione, la fine di un rapporto deciso da chi - di lì a poco - si sarebbe fatto da parte. Superficialmente si potrebbe leggere nelle dimissioni immediate della Souloukou un primo potenziale seme per un dietrofront, quasi per autodelegittimarsi rispetto a quanto fatto, ma tutt'ora la sensazione preponderante è quella di una proprietà del tutto lontana dalla prospettiva di richiamare De Rossi in caso (curiosamente improbabile) di esonero di Ivan Juric.
Perché il De Rossi bis aiuterebbe la Roma
Il ritorno del tecnico, bandiera giallorossa rimasta pressoché immacolata agli occhi dei tifosi, suonerebbe infatti come una forzata ammissione di colpa e striderebbe non poco rispetto al comunicato con cui DDR venne allontanato dopo appena quattro giornate di campionato. Si tratta, dunque, di uno scenario poco verosimile ma - al contempo - non mancano motivi per cui a rigor di logica un ritorno di De Rossi in panchina potrebbe limitare i danni in casa giallorossa. Innanzitutto esiste un richiamo identitario forse retorico e inflazionato ma, di fatto, vissuto dalla piazza come prioritario: l'assenza di figure societarie vicine alla storia giallorossa, o di "uomini di calcio" in senso lato, fa sì che si avverta neanche troppo tra le righe questa necessità di riallacciare un discorso con la propria identità per combattere l'innegabile apatia di questi giorni.
Al contempo, anche valutando i profili di eventuali sostituti raggiungibili al momento per il possibile post-Juric, si può temere lo scenario di seconde scelte o comunque soluzioni più simili a toppe: difficile, a novembre, individuare il profilo giusto per far partire un progetto convincente e valido ad ampio respiro, soprattutto considerando come in estate quel profilo fosse (pare fantascientifico ammetterlo oggi) proprio quello di De Rossi. Il tutto va poi a sommarsi a un mero discorso economico e all'idea di dover pagare un ingaggio, più o meno sostanzioso, a un ulteriore tecnico: un salasso fine a se stesso e certo deleterio. Valutando infine la reazione della squadra all'addio forzato di DDR si può capire quanto un rientro possa risultare ben accolto dal gruppo, senza dunque un effetto dirompente in negativo: si riallaccerebbe un discorso interrotto troppo in fretta, provando a liquidare come una parentesi quanto accaduto dall'esonero in poi e tornando sulla strada già nota (anche a livello tattico e di campo, senza l'ennesima necessità di imprimere nuovi principi nella testa dei calciatori).