11/07/2021-11/07/2022: un anno da Campioni d'Europa, cosa è cambiato in 12 mesi?
Sono passati 12 mesi dalla magica notte di Wembley in cui l'Italia di Roberto Mancini batteva ai rigori l'Inghilterra e si aggiudicava Euro 2020. La ricorrenza del primo anno da Campioni d'Europa dovrebbe farci sorridere, eppure quello che proviamo è un mix tra nostalgia e amarezza.
Nostalgia perché ricorderemo a lungo - probabilmente per sempre - quelle serate lì. Dopo un anno di pandemia avevamo davvero voglia di abbracciarci, di gioire, di sentirci almeno per una volta dalla stessa parte, senza divisioni. E a rendere ancora più incredibile l'impresa, a sublimarla, ha contribuito la dimensione di underdog che ha accompagnato la Nazionale per tutto il torneo.
D'altronde, chi si aspettava che una squadra che non si era nemmeno qualificata al Mondiale del 2018 potesse vincere l'Europeo successivo?
Ed è qui che però subentra l'amarezza. Già, perché l'Italia è arrivata fino in fondo con merito, perché giocava come se fosse una qualsiasi squadra di club dove i calciatori si conoscono da una vita, perché conosceva i propri mezzi. Sapeva infatti imporre il proprio dominio su nazionali meno attrezzate, come Turchia, Svizzera e Galles, ma era anche rispettosa verso quelle più forti. Con Belgio e Spagna abbiamo saputo soffrire, abbiamo limitato - grazie a una coppia di centrali che "potrebbe insegnare ad Harvard" - il loro dirompente potenziale offensivo e li abbiamo colpiti con le ripartenze guidate da Chiesa e Spinazzola. A Euro 2020 siamo stati sia Ulisse che con facilità disarmante si sbarazza dei proci, sia i lillipuziani che atterrano Gulliver grazie alla loro organizzazione.
Quanto eravamo forti!?
Eravamo, sì.
Perché quando arrivi così in alto in così poco tempo non puoi far altro che cadere.
A pochi mesi di distanza da quel mitico successo, un'Italia ancora inebriata dai festeggiamenti manca la qualificazione diretta per il palcoscenico più ambito, quello del Mondiale, e lo fa nel modo più psicodrammatico e surreale possibile.
Per staccare un pass per il Qatar ci sarebbe bastato infatti battere la Svizzera, nostra inseguitrice nel girone, in una delle due partite che si sono disputate lo scorso settembre. Non solo la vittoria non è arrivata, ma in entrambe le occasioni tra noi e il successo si è frapposto un rigore sbagliato - fatalità del caso - da quello che era stato il nostro cecchino dagli undici metri a Euro 2020. Se Jorginho avesse segnato almeno uno dei due penalty, adesso l'intero movimento calcistico italiano verrebbe descritto in una condizione diversa.
Ovviamente non vogliamo far ricadere su di lui tutte le colpe, anche perché il sogno Mondiale non era ancora svanito dato che potevamo qualificarci passando per la porta di servizio, quella degli spareggi.
Gli incubi del 2017 iniziavano a riprendere forma, però in aiuto degli Azzurri è arrivata una competizione spesso bistrattata ma che in quella situazione lì ci ha fatto credere di essere ancora una potenza calcistica.
Avendo avuto la meglio in un girone composto da Olanda, Bosnia e Polonia, l'Italia si era infatti guadagnata l'accesso alla Final Four della Nations League. Certo, tra noi e la vittoria finale c'erano squadre come Spagna, Francia e Belgio, ma avevamo comunque l'occasione di fare il pieno di fiducia dopo il passo falso di qualche settimana prima.
A San Siro i ragazzi di Mancini perdono contro le Furie Rosse di Luis Enrique (che mostra per la prima volta al mondo il talento del 16enne Gavi), eppure quel che emerge è un senso di soddisfazione perché l'avversario era nettamente più forte, ma noi gli abbiamo comunque tenuto testa, proprio come abbiamo fatto a Euro 2020.
Non siamo scarsi, semplicemente abbiamo affrontato i gironi di qualificazione con troppa sufficienza.
La finalina contro il Belgio, vinta 2-1 grazie alle reti di Barella e Berardi, conferma queste sensazioni e in molti credono che l'Italia possa sbarazzarsi dei demoni di quattro anni fa e approdare ai Mondiali.
A marzo l'Italia si presenta agli spareggi per la seconda volta consecutiva. Stavolta però la formula era diversa: nel 2017 era previsto il doppio confronto con una sola nazionale, nel 2021 la FIFA ha pensato di introdurre un mini-torneo con semifinali e finalissima tutte a gara secca.
Fa ridere ricordare che gran parte delle nostre preoccupazioni era dovuta all'ipotetica finale contro il Portogallo. Invece a infrangere le nostre speranze ci ha pensato un paese che conta su meno di 2 milioni di abitanti, la Macedonia del Nord. Il bello è che anche in questo caso è successo tutto in maniera grottesca: eravamo sullo 0-0 e l'Italia, nonostante la mancanza di idee lì davanti, dava comunque la sensazione di poter sbloccare la gara. I tifosi presenti al Barbera non hanno mai smesso di spingere gli Azzurri, ma al 92' cala improvvisamente il silenzio.
Dal rilancio del portiere macedone, la palla arriva ad Aleksandar Trajkovski che la controlla di petto, se la sistema sul destro e fa partire un tiro a incrociare che rimbalza a pochi metri dalla porta prima di insaccarsi sulla destra di Donnarumma. Il Barbera era considerato una roccaforte della Nazionale, ma a tradirlo ci ha pensato proprio un giocatore che aveva vestito la maglia rosanero fino a non molti anni prima.
Ci abbiamo messo solo 255 giorni per passare dal paradiso di Wembley all'inferno del Barbera. A luglio pensavamo che, dopo il mancato approdo a Russia 2018, ci saremmo ripresi il posto che ci spetta nell'élite del calcio mondiale; a marzo invece abbiamo iniziato a parlare di sistema da rifondare, di mancanza di giovani italiani nei vivai dei club, di allenatori che puntano sempre su giocatori stranieri fatti e finiti.
A peggiorare la situazione ci ha pensato una partita che prima della debacle Mondiale aspettavamo con ansia. Il 1° giugno gli Azzurri hanno fatto ritorno a Wembley e probabilmente hanno provato una grande emozione nel rimettere piede in un impianto così carico di significato.
Il mood però è diverso rispetto a qualche mese fa. La Finalissima contro l'Argentina campione della Copa America funge soltanto da ultima passerella per un gruppo azzurro indimenticabile, al quale assoceremo per sempre un sacco di ricordi, ma che di fatto è arrivato al capolinea. In terra inglese Messi e compagni passeggiano su quel che resta di una Nazionale che non ha più niente da dire. Finisce 3-0. Ci aspettavamo la sconfitta, ma nemmeno il più pessimista si aspettava un risultato talmente pesante.
Bisogna cambiare e bisogna farlo in fretta. Ecco che in nostro soccorso arriva ancora una volta la cara vecchia Nations League. Sarebbe l'occasione per voltare pagina e aprire un nuovo ciclo, ma il torneo giunge al termine della stagione, un momento in cui i giocatori sono scarichi sotto l'aspetto fisico e mentale. L'Italia raccoglie due buoni pareggi contro Inghilterra e Germania, riesce addirittura a sconfiggere la sorprendente Ungheria di Marco Rossi, e lo fa mettendo in mostra Wilfried Gnonto, esterno 19enne che diventa il simbolo della rinascita Azzurra. A rovinare tutto ci pensa però la nazionale tedesca, che a Mönchengladbach ci asfalta con un sonoro 5-2.
Dopo qualche sprazzo di ottimismo, le prime pagine dei giornali riportano nuovamente titoli tragici, chiedono a gran voce soluzioni per rinnovare l'intero movimento, propongono leggi - alquanto inapplicabili - per mettere i club di Serie A nelle condizioni di promuovere più giovani italiani.
La situazione di oggi appare ancora critica ed è difficile guardare al futuro con ottimismo. Se però ripensiamo a quello che è successo solo 12 mesi fa, è impossibile non provare una forte emozione unita a un pizzico di fiducia: l'Italia sa rialzarsi e quando lo fa riesce sempre a sorprenderci.
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