I migliori stranieri over 30 della storia della Serie A: Guardiola, Evra, Rummenigge ed altri!
Che la Serie A non sia un paese per giovani lo si scopre ogni anno, ma in verità qualcuno se ne accorge solo quando si parla di nazionali. La crisi di talenti della selezione maggiore si specchia nel fatto che i titolari di Under 21 e 19 non giocano nei rispettivi club, se non in B o in Lega Pro.
Colpa dei troppi stranieri? Di sicuro a volte si eccede nella ricerca dell’esotico, ma spesso e volentieri questo è dettato da motivi economici legati ai costi elevati dei giocatori italiani sul mercato.
Del resto la qualità nostrana è così bassa che merita di essere pagata bene e comunque spesso quello degli stranieri è un luogo comune per mascherare la crisi di talenti del calcio italiano.
Anche perché non c’è passaporto né carta d’identità che venga: quando a sbarcare in Italia sono stranieri di primo livello che scelgono la Serie A per chiudere o coronare la carriera, si può solo ringraziali. Ecco a chi provano a ispirarsi Bruno Alves e Dani Alves.
8. Josep Guardiola
Come allenatore dice di ispirarsi a Marcelo Bielsa, ma anche se il football italiano è piuttosto diverso dai punti chiave del suo calcio, Pep ha preso più di qualcosa dall’esperienza italiana avuta come calciatore tra il 2001 e il 2003, dai 30 anni in avanti, per quelle che furono le ultime stagioni ad alto livello del grande regista del Dream Team del Barcellona di Cruijff.
A portarlo in Italia fu il compianto Gino Corioni, che riuscì a far giocare insieme a Rigamonti Pep e Roberto Baggio, cosa mai vista in formazioni di quel target.
Pareva un’operazione-nostalgia e in un certo senso lo fu sul piano tecnico, visto che Guardiola arrivò in Italia pieno di acciacchi giocando in tutto una ventina di partite, compresa la breve e poco felice parentesi alla Roma, tra luglio 2002 e giugno 2003, chiusa dal misterioso caso-doping.
Poi il ritorno a Brescia, dove al netto del rendimento Guardiola ha convinto tutti a livello caratteriale e umano, lasciando un mucchio di amici in quella che sarebbe diventata la sua seconda casa.
Al punto da invitare lo stesso Corioni e il tecnico Mazzone alla prima finale di Champions da allenatore.
7. Karl-Heinze Rummenigge
L’esperienza italiana del mitico Kalle non è stata certo memorabile, ma non solo per i tifosi dell’Inter resta comunque un privilegio aver assistito agli ultimi fuochi della carriera di uno degli attaccanti tedeschi più forti e completi di sempre, vincitore di due Palloni d’oro e di altrettante Coppe dei Campioni.
Le attenuanti comunque non mancano, dal fatto di aver giocato in una squadra mai in corsa per il titolo fino ai tanti infortuni che di fatto gli fecero saltare un campionato su tre tra il 1984 e l’87, avendo disputato 60 partite in tre campionati.
A livello realizzativo e di prestazioni da salvare solo la seconda stagione oltre al memorabile gol ai Glasgow Rangers in Coppa Campioni ingiustamente annullato.
6. Daniel Passarella
L’approdo in Italia del libero e capitano dell’Argentina campione del mondo nel 1978, poi escluso dalle convocazioni nel 1986 per contrasti con Diego Maradona, avvenne a 29 anni, quando apparentemente il meglio della carriera, e non solo della bacheca, era già stato dato al River Plate oltre che con la Séleccion.
Ma 'El Caudillo' smentì gli scettici, dimostrando di non essere affatto in parabola discendente attraverso 6 campionati da titolare tra Fiorentina e Inter, quasi del tutto privi di infortuni.
Personalità e tecnica nella regia difensiva, peccato per quella totale mancanza di successi, ma d’altronde i viola dopo la delusione del 1982 e di quello scudetto sfiorato non furono più in grado di ripetersi, mentre dal 1986 l’Inter era ancora in costruzione dello squadrone che avrebbe dominato con Trapattoni nel 1988.
Restano negli occhi gli 11 gol segnati con la Fiorentina nel 1986, record per un difensore della Serie A poi battuto da Materazzi, oltre all’increscioso caso del calcio al raccattapalle durante Sampdoria-Inter, episodio che ne chiuse di fatto la carriera.
5. Michael Konsel
Fughiamo subito il campo dai dubbi. A ricordarsi del portiere brizzolato austriaco non sono solo le tifose romaniste, fatalmente colpite dal fascino di Michael, ma tutto l’universo giallorosso, che a distanza di anni ricorda con affetto il biennio che Konsel ha trascorso in maglia giallorossa, tra il 1997 e il ’99, dove arrivò a 35 anni, al termine di una carriera che lo aveva visto esibirsi” solo in patria, come colonna e capitano del Rapid Vienna all’epoca protagonista anche in Europa.
L’interessato potrebbe anche pensarla diversamente, se non altro per i sacchi di gol incassati durante la gestione Zeman, ma “Er Pantera”, simpatico e emblematico soprannome coniato dal popolo romanista, ne ha anche evitati molti altri.
Considerato tra i più forti portieri del calcio europeo degli anni ’90, Konsel arrivò a Roma in un momento non semplice per il club in particolare tra i portieri, dovendo sostituire. Eleganza e simpatia ne fanno uno degli idoli “non vincenti” dei tifosi.
4. Abedì Pelè
Primo giocatore di colore ad alzare la Coppa dei Campioni, da numero 10 tutto tecnica e fantasia di quell’Olympique Marsiglia capinato da Deschamps, ma poi caduto in disgrazia per lo scandalo che travolse il presidente Tapie, il più forte giocatore ghanese della storia, come da inequivocabile soprannome, sbarcò in Italia a 31 anni per dare una mano a un Torino in difficoltà economiche, ma mai tradito dai propri tifosi, che non a caso si esaltarono per le giocate di questa piccola grande mezzapunta, fondamentale nella conquista di una salvezza tutt’altro che scontata nel 1994 dopo un partenza falsa.
Nulla da fare invece nella stagione successiva, quando il rendimento di Pelè scese di livello e la squadra rotolò tra i cadetti.
3. Patrice Evra
Qui la parola fine deve ancora arrivare e dopo essere stata vicina al termine della passata stagione, quando l’esterno francese è stato a un passo dal ritorno in patria per chiudere la carriera, ora è stata posticipata di altri due anni.
Salvo sorprese, Patrice, classe ’81, disputerà l’ultima partita da professionista con la maglia di un club in Italia, laddove si era di fatto aperta quasi 20 anni fa con Monza e Marsala in Serie C1. Più ancora che per il rendimento sul campo, comunque più che soddisfacente, la storia tra Evra e la Juventus ha funzionato grazie al comune spirito da vincenti.
È infatti noto che il ruolo recitato dal francese da leader dello spogliatoio per risollevare la barca che faceva acqua all’inizio della passata stagione. E adesso che è anche diventato social, la missione è sfatare il tabù Champions: 5 finali e una sola vittoria.
2. Ruud Krol
Ancor oggi è uno dei giocatori stranieri passati dal San Paolo più amati dai tifosi. Uno a prova di… tradimento, quindi, e non solo perché il Napoli fu l’ultima squadra di livello di questo mitico difensore olandese, che avrebbe poi concluso la carriera in seconda serie a Cannes.
In verità difensore è un’etichetta riduttiva, essendosi trattato di un dei simboli del calcio totale che avrebbe cambiato la storia del pallone mondiale. Ex terzino sinistro, pur ambidestro, poi centrale, infine sul viale del tramonto libero.
Numero 2, 5 o 6 sulle spalle, il rendimento restò impeccabile con l’Ajax, l’Olanda e anche a Napoli, dove sbarcò nel 1980 a 31 anni trovando subito il feeling giusto con piazza e tifoseria.
Quattro stagioni da protagonista e leader dello spogliatoio, con all’attivo uno scudetto sfiorato nel 1981 e l’ultimo anno insieme a un giovane Maradona.
1. Juan-Alberto Schiaffino
Nelle vene di uno dei più forti calciatori di tutti i tempi è sempre scorso sangue italiano, anche quando trascinò l’Uruguay a uno storico titolo mondiale o il Peñarol a una lunga serie di trionfi grazie alla sua regia regale, alla sua eleganza associata alla potenza esaltata dalle mirabili conclusioni dalla distanza oltre che nello spirito combattivo con cui si riciclava in interdizione.
Può essere considerato a tutti gli effetti come il precursore di Andrea Pirlo, anche come parabole (pure Juan-Alberto iniziò da mezza punta per poi arretrare), con qualcosa in più sotto tutti i fondamentali, pur parlando di un calcio molto diverso.
Tutto questo si vide a lungo durante le 8 stagioni trascorse in Serie A, dai 29 anni: al Milan vinse tutto in 6 stagioni, 3 scudetti e pure una Coppa Latina, antenata della Coppa Campioni, poi a Roma per un biennio fu leader anche come libero.