A game to play - Perché Daniele De Rossi è come gli Oasis
Quando ci si sposta da una città all'altra ci si può imbattere, più o meno volontariamente, in delle sfumature che mai troveresti altrove: succede pensando al cibo, in Italia lo sappiamo bene e lo sperimentiamo a ogni angolo, ma succede altrettanto nel linguaggio, in quei modi unici ed efficaci che - in determinate città - permettono di esprimere in sintesi un intero mondo, uno stile di vita. Se capita di vivere Roma, ad esempio, si può inciampare in un termine in particolare che diventa qui strategico, volendo tracciare un filo conduttore tra Daniele De Rossi e gli Oasis: sfascione.
Un profilo, una dichiarazione d'intenti di chi non ama prendersi troppo sul serio, che del resto si sposta oltremodo da quell'alone glamour e modaiolo che - da tempo - segue quasi inesorabilmente la figura del calciatore, facendocelo figurare tra instagrammabili serate di gala e locali da sponsorizzare, come novello PR. Prima ancora delle connessioni esplicite ed effettive, che in questo caso non mancano, c'è una sorta di aria che accomuna l'identità di DDR, la sua immagine, a quella dei fratelli Gallagher. Un'identità riconosciuta anche in modo diretto e in una doppia direzione.
Se nel capitolo precedente ci si doveva dunque arrampicare, alla ricerca di un nesso che andasse al di là della mera intuizione, qui non è richiesto leggere troppo tra le righe: "Mi piacevano come tipi, erano veramente personaggi particolari, non sempre convenzionali e facilissimi da approcciare, però questo loro stereotipo che rappresentavano, le rock star fuori di testa, mi piaceva molto" confessò al sito ufficiale della Roma, lo stesso De Rossi, parlando proprio degli Oasis.
Una passione musicale mescolata a quella per il pallone, una passione tale - tra la battuta e la verità - da stuzzicare anche la curiosità di DDR di fronte alla possibilità di un addio alla sua Roma per partire alla volta della ben diversa Manchester, per incontrarli davvero quei due fratelli che ne segnarono l'adolescenza.
Ci si potrebbe stupire, immaginando una suggestione simile come un motivo per seguire una traiettoria di sport e di vita, ma lo stesso De Rossi ha dimostrato quanto contino, anche nell'atto di scegliere, gli aspetti emotivi/culturali: l'esperienza al Boca Juniors in tal senso dice tanto, lo fa anche rispetto ai campioni (quelli più glamour di lui, appunto) che scelgono un sipario differente da calare sulle rispettive carriere, senza mettersi lì a sfogliare l'album del cuore o dei ricordi.
E tornando alla distanza che separa Roma da Manchester, alle differenze che potrebbero naturalmente saltare all'occhio in una simile traiettoria, possiamo anche provare a colmarla grazie allo stesso DDR: l'identikit, il suo, poteva essere del resto quello ideale per sposare una realtà dalla radicata identità industriale che ha saputo però, nel tempo, aprirsi e farsi meno dura, meno coriacea. Una città dall'apparenza ruvida e dura che svela un'identità moderna e cosmopolita, che di fatto sovverte le aspettative o le impressioni più superficiali.
Qualcosa che ci ricorda d'istinto il profilo di Daniele De Rossi, per certi versi alieno rispetto a quello di tanti altri calciatori, quelli della sua generazione e ancor di più i giovanissimi. Quante volte, del resto, sentendo parlare l'ex Capitan Futuro ci è capitato quasi di sorprenderci del fatto che - in quel momento - ad aprir bocca fosse realmente un calciatore? La volontà di rifuggire dai luoghi comuni, la realtà di un "personaggio particolare" capace di essere duro e al contempo dotato di sensibilità: tratti che, senza sforzo, ci permettono di tracciare questa strada che da Ostia porta a Manchester.
Un percorso che a quanto pare non dev'essere apparso così bislacco nemmeno a uno dei diretti protagonisti del discorso, a quel Noel Gallagher che - proprio come De Rossi - ha sempre rivendicato (a costo di risultare impopolare) il diritto di provocare, di colpire davvero con le parole, di non percorrere la scorciatoia delle frasi fatte, delle rassicuranti pacche sulle spalle. Proprio il maggiore dei fratelli Gallagher, parlando alla Rai nel 2011, disse che se avesse dovuto prendere un altro calciatore italiano al City, al posto di Balotelli (suo personale idolo, a cui dedicò persino una canzone), avrebbe accettato solo e soltanto Daniele De Rossi.
"All we know is that we don't know how it's gonna be. Please brother let it be, life on the other hand won't make us understand, we're all part of the masterplan."
- Oasis, The Masterplan (1998)
Un amore reciproco dunque: la passione musicale di un giovane DDR, con tutte le canzoni imparate a memoria e una fascinazione per quelle rockstar così fuori dagli schemi, accanto a una stima ricambiata da parte di quegli stessi idoli, come in un cerchio che si chiude. E se occorresse trovare davvero un'effettiva chiusura del cerchio, un timbro che in un film ideale porremmo a colonna sonora dell'ultima scena, questa non potrebbe che essere The Masterplan.
De Rossi la scelse infatti come sottofondo del suo addio alla Roma, una scelta che non si può legare soltanto alla mera passione musicale e alla nostalgia rivolta ai tempi andati. Proprio Noel Gallagher, raccontando quel che il noto successo del del 1998 poteva sottintendere, si riferì alla "paura di invecchiare", citò dunque un momento di passaggio in cui un uomo si trova sospeso tra il richiamo del passato e l'urgenza di un futuro, trovandosi inghiottito in qualcosa che appare più grande di lui. Una sensazione che, come poche altre, ricorda da vicino quel passo verso l'ignoto di un calciatore arrivato in prossimità del traguardo finale, sospeso a metà tra i richiami di ieri e le infinite scelte di domani.
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