A game to play - Perché Manuel Rui Costa è Amalia Rodrigues
I vicoli su cui rimbalzano i palloni somigliano da vicino ad un palco, piccolo palco da sagra o da festa di paese, con pochi occhi che ti guardano e un'immensa dose di libertà. Lo sanno i bambini mentre giocano o lo sanno le giovani mentre cantano, nella perplessità della famiglia e nell'incanto dei passanti: accade ben prima della fama e della gloria, molto prima di avere un nome.
E le strade non sono tutte uguali, non lo sono concretamente nella forma ma - ancor di più - si distinguono per gli odori che lasciano addosso e per l'eco dei loro suoni: conosciamo ormai la malinconia che associamo ai portoghesi e la riconosciamo nei loro sguardi, a una prima occhiata, anche nascosta dietro al sorriso.
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Dai vicoli allo stadio, da una stanza al palco
Ogni Paese del resto ha una propria lingua, ogni angolo di quel Paese ha un dialetto diverso e una maniera differente di chiamare le cose, e così Lisbona esprime se stessa attraverso il linguaggio della saudade. Sentimento ineffabile per sua natura, che comprende un lato fisiologico di inesprimibile, ma che riconnettiamo per semplicità alla nostalgia. Percorrendo le strade di Lisbona, intrecciando così un Manuel Rui Costa bambino che custodisce gelosamente il suo pallone e un'Amalia Rodrigues bambina che non smette mai di cantare, scopriamo una prima connessione in questa nostalgia e in questo naturale riferimento al passato e a un senso di ritorno.
Un ritorno che, nel caso di Rui Costa, si è tradotto in senso pratico - intrecciando di nuovo la propria strada col suo Benfica - e che trae forza proprio dalle radici e dal passato: "Volevo sempre giocare a calcio, volevo sempre un pallone con me...era il mio giocattolo. Poi venne il desiderio di diventare un calciatore, di giocare di fronte ai tifosi" ha ricordato l'ex centrocampista portoghese a Copa90, ribadendo la potenza del legame con la propria città e col vecchio stadio Da Luz, estensione naturale della sua dimensione domestica e familiare.
Un percorso intimo e appunto domestico prima che pubblico, un primo filo conduttore saldo tra due figure che hanno rappresentato e rappresentano Lisbona: la stessa Amalia Rodrigues, prima della notorietà e del debutto in pubblico, coltivava quella passione per il canto in modo riservato e privato, riuscendo a cantare in solitudine e rifuggendo inizialmente - con timidezza - le attenzioni degli altri, con l'eccezione del nonno. In entrambi i casi, nel passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica - trasformando il vicolo in uno stadio o una stanza in un palco - ha pesato profondamente un gioco del destino, un gioco del Fado.
Un gioco del destino
Per Rui Costa fu la leggenda Eusebio ad appena 9 anni, per un'Amalia Rodrigues ancora ragazzina fu l'impresario Jorge Soriano: dal talento vissuto come fatto personale, come intima espressione di sé, alla ribalta, ai primi applausi, al riconoscimento esterno. Una giocata di fronte a Eusebio - il Re, come lo chiama Rui Costa - oppure le canzoni cantate al Retiro da Severa, ad attirare gli avventori e a donare lustro a quella voce in una dimensione nuova.
"Più di un provino era un'occasione data ai bambini di giocare allo Stadio da Luz, più di 500 bambini e ognuno giocava per 10 minuti, io non arrivai neanche ai 10 minuti e mi misi a piangere. Pensavo di non essere piaciuto a Eusebio. Chiamarono mio padre e gli dissero che mi volevano in allenamento, io continuavo a piangere perché non avevo giocato quanto avrei voluto. La mia carriera è nata lì."
- Manuel Rui Costa a Copa90
Nelle radici e nell'evoluzione c'è dunque un tratto di affinità, tratto che si amplifica pensando ai natali umili e all'infanzia vissuta in costante equilibrio tra sacrifico e gioia, tra privazioni e calore familiare. Per Manuel l'infanzia vissuta nella casa che faceva anche da negozio dello zio, ciabattino nel quartiere di Damaia, per Amalia la distanza dai genitori - tornati a Fundão a caccia di miglior fortuna - e gli anni trascorsi coi nonni. E poi un magico crocevia, qualcuno che si accorge del talento e che lo abbraccia, non accettando l'idea di rinunciarci: per Eusebio come per Jorge Soriano, di fatto, non si poteva privare il mondo di una simile ricchezza.
Portando poesia
In entrambi i casi esiste una forma di riscatto, una forma tutt'altro che rabbiosa di emancipazione, e possiamo scoprire però come questo riscatto non si leghi solo al percorso individuale dei due - la mera via di uscita da una situazione umile - ma alla capacità di elevare due attività popolari per eccellenza, di arricchirle di poesia, spostandole in alto. Il Fado ed il calcio, dunque, presi per mano e condotti verso lidi diversi, arricchiti di bellezza e di umanità. Una carriera da cantante, agli occhi dei genitori, non poteva essere la strada adatta per una ragazza rispettabile: il Fado, del resto, cantava di prostitute, storie di confine, raccontava un mondo che di alto sulla carta aveva ben poco.
Eppure possiamo scoprire proprio come Amalia Rodrigues abbia realmente accompagnato per mano un intero universo musicale, dotandolo di una nuova dignità e di uno spessore imprevedibile. Al contempo, in Italia lo sappiamo bene, c'era tanta poesia nel gioco di Rui Costa: c'era eleganza nei suoi movimenti, fantasia nei suoi assist, morbidezza nei palloni che toccava e nel suo passo.
C'era quella capacità di ispirare che, da che mondo è mondo, sa far innamorare Firenze, città che fa della ricerca di una cifra estetica un proprio segno identitario (con annessa passione per i dieci, da Antognoni a Baggio fino appunto a Rui Costa). Il popolare che diventa alto, la bellezza che percorre strade inattese: altro filo conduttore ben saldo tra figure apparentemente lontane.
Il legame con l'Italia
C'è infine, tra le righe, un'altra zona comune, c'è un ennesimo trait d'union tra Manuel Rui Costa e Amalia Rodrigues, qualcosa che ci riguarda da vicino. Riguarda da vicino l'Italia, pur partendo dal legame profondo con le radici e dalla tendenza al "ritorno" come predisposizione naturale: il nostro Paese ha rappresentato tanto sia per Rui Costa che per Amalia Rodrigues. Da un lato, al di là della maturità calcistica vissuta proprio con Fiorentina e Milan in un periodo d'oro del calcio italiano, il portoghese non ha mancato di rimarcare l'idillio col capoluogo toscano (reso peraltro evidente dalle lacrime in occasione dell'addio ai viola).
Una scintilla immediata, mossa da un sorriso sincero e dalla volontà di mescolarsi alla città, vivendola senza distacco o diffidenza. Si trattò del resto di un altro incrocio di destino, quello che lo volle in viola dopo un approdo quasi deciso al Barcellona, un altro crocevia in grado di deviare il corso delle cose. E poi Amalia Rodrigues e l'Italia: la passione per la musica popolare e folkoristica del nostro Paese, la voglia di interpretare pezzi del repertorio che appartiene alla nostra storia musicale (in ogni dialetto, da Ciuri Ciuri a Vitti 'na crozza). Il tutto unito a numerose esibizioni dal vivo, un amore culminato poi nel disco "Amalia em Italia" (2017) che andò a riprendere "A una terra che amo" (1973), aggiungendo esibizioni dal vivo registrate negli anni '70.