A game to play - Perché Zinedine Zidane è Paolo Conte

Paolo Conte
Paolo Conte / Sergione Infuso - Corbis/GettyImages
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"Tra i francesi che si incazzano e i giornali che svolazzano, tu mi fai - Dobbiamo andare al cine - vai al cine, vacci tu"

Paolo Conte, Bartali

Se volessimo cristallizzare in una sola frase, in un solo attimo musicale, il gusto ineguagliabile che dà agli italiani l'irrisione verso i cugini d'oltralpe, finiremmo per rivolgerci al ricordo offerto da Paolo Conte, rivolto alle strade di Francia percorse da Ginettaccio nel suo trionfale Tour del 1948. Si procede dunque per contrasti, nei primi passi, e si trova forse l'ostacolo più irto: perché mai, insomma, chi ci ha portati sulle strade di Francia - come italiani in gita, a goderci un trionfo - dovrebbe rappresentare infine la nemesi assoluta, l'autore di quella testata, di quel gesto che (a sua volta) amplificò (fotografandolo) il senso di inimicizia tra i due Paesi?

Gino Bartali
Gino Bartali al Tour / Keystone/GettyImages

Tra l'altro, anche ripercorrendo le cronache dell'estate del 2006, quella di un altro trionfo e stavolta non in bicicletta, ne troviamo a bizzeffe di citazioni di quella stessa canzone, di Bartali appunto, e del gusto senza tempo che dà un sorrisino beffardo rivolto a loro, ancora sconfitti. Partiamo da una distanza siderale, all'apparenza, ma se osserviamo più da vicino (come spesso accade) realizziamo una strana forma d'identità, dei punti di contatto, dei tratti comuni (saranno forse quelli che enfatizzano un'inimicizia, che la acuiscono?). Si parte da un fatto, da un dato riscontrabile: Paolo Conte è di casa in Francia, è amato, quando torna là non lo fa da ospite (e no, non canta mai Bartali di fronte a quel pubblico).

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Un momento iconico / FABRICE COFFRINI/GettyImages

E certo la natura internazionale dal cantautore astigiano è parte della sua cifra artistica, assieme al suo esotismo, e trova nella Francia un proprio scenario ideale: pensiamo a Parigi, a Le chic e le charme, pensiamo a tutte le volte in cui la cita e la richiama, la beneamata Francia, nei suoi testi, pensiamo al suo album Paris Milonga. A piccoli passi ci avviciniamo, insomma, a un parallelismo sulla carta avventato, iniziamo a intravedere una fusione tra due mondi apparentemente divergenti. Paolo Conte come Zinedine Zidane, infatti. E non è un fatto di geografia, neanche un fatto di fama o di biglietti venduti, no.

Se hai occasione di assistere a un concerto di Paolo Conte noti, per forza di cose o per confronto rispetto ad altri artisti, l'assenza assoluta di concessione allo show, che non sia la magia di un arrangiamento, che non sia l'esecuzione del brano. Non c'è spazio per ruffiani ammiccamenti: è un discorso di pause e di silenzi tra una canzone e l'altra. Una galleria in cui tutto ciò che è altro, rispetto al momento artistico, distrae e fa solo chiasso. Al contempo nessuno si sognerebbe di ridurre il valore dello spettacolo per via di quei silenzi.

Zinedine Zidane
Zinedine Zidane / Shaun Botterill/GettyImages

E se Zinedine Zidane scegliesse mai di esibirsi su un palco, non lo farebbe forse nello stesso e identico modo? Il modo di chi crea qualcosa ma non ha poi troppa voglia di mettersi lì, di definirlo, di dargli una valenza ulteriore, di perdersi in spiegazioni o didascalie. Una giocata ti lascia intontito, una canzone ti emoziona: non c'è altro da dire, poi. Zidane riservato, Zidane schivo, Zidane di poche parole. Eppure Zidane diceva un sacco di cose, coi piedi, raccontava storie senza bisogno di lavorare sul personaggio, di curare la confezione, di metter su uno spettacolino di fuochi d'artificio o di luci che abbagliano. Il tratto d'identità fondamentale è qui: nella natura umanamente taciturna di chi lascia parlare altro, di chi ti concede sprazzi di magia senza chiederti venerazione, senza aspettarsi una tua particolare simpatia. Senza chiedertela.

Il tema dei richiami esotici, poi, percorre sullo sfondo un paragone sulla carta ardito e finisce per dargli profondità. Da Marsiglia, dalla Marsiglia di Zidane, viene forse più naturale farsi avvolgere da altri mondi o dal richiamo delle proprie origini, viene più automatico di quanto non accada forse a un avvocato di Asti. Nel calcio di Zidane non c'è solo Francia, fin dall'inizio della sua carriera: c'è la devozione sudamericana verso Enzo Francescoli (un vero faro per il giovane Zidane) e ci sono profumi diversi, l'Algeria e il gusto per la tecnica coltivato sui campi di calcetto, prima ancora di diventare un calciatore vero.

"Così la milonga rivelava di sé molto più, molto più di quanto apparisse. La sua origine d'Africa, la sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera, una verde frontiera"

Alle prese con una verde Milonga ('81)

Nel calcio di Zidane non c'è solo Francia, non c'è solo Europa, c'è un continuo rimando a contesti calcistici lontani, in grado di arricchirne il bagaglio e l'ispirazione. Da Marsiglia ad Asti, poco più di 400 chilometri e un meccanismo affine: la provincia come casa ma il viaggio come esigenza per Paolo Conte, l'esotismo che regala pennellate sparse ed evocative, che consegna colori differenti da quelli che - in teoria - ti aspetteresti lì, da un avvocato di Asti. La milonga per Paolo Conte e Francescoli per Zidane, oppure il tango o il jazz, finestre su mondi preclusi che improvvisamente si aprono, diventano lì e non più altrove.

Il discorso si fa anche mediatico, riguarda anche l'esposizione: in entrambi i casi parliamo di figure tutt'altro che sovraesposte, tutt'altro che inflazionate o dalla presenza invadente. Forse più l'opposto. Interviste e comparsate come rarità e non come abitudine, sempre nella consapevolezza assoluta di non doversi vendere ma - semplicemente - di non dover essere altro che se stessi, che tanto tutti non son venuti lì (non hanno pagato il biglietto) per farsi una risata sentendoti parlare, per restare rapiti dal tuo eloquio. Son venuti per sentirti suonare o per vederti giocare. E va benissimo così.

C'è qualcosa di più popolare di Via con me? Difficile trovarlo, ancor più complesso farlo se immaginiamo Azzurro. Ed è nella popolarità che non richiede ammiccamenti e anzi li rifugge, che non prova neanche a svendersi, che si compie questa curiosa e sommersa connessione: suoni e giocate che incantano e non chiedono nulla di più.


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