A mani nude
Il mondo cambia e si evolve continuamente e lo sport non è certo esente da tale destino. Ma è altrettanto vero che raramente, in questo flusso vorticoso che avanza, e avanza, e ancora avanza, resistono ancora dei bruscolini di passato, chi fa i conti con le lire, chi non si fida mai del navigatore, chi decide di parare un rigore importantissimo agli Europei senza guanti. Mi piacerebbe molto scrivere anche delle prime due categorie, ma ci soffermeremo solo su quest'ultima.
Il perché dei guanti ci sembra quasi scontato ad oggi, ma c'è stato un periodo, neanche troppo lontano, si parla degli anni '70, in cui le mani dei portieri erano sottoposte a quelle palle di cannone di cuoio che ai tempi chiamavano palloni, con tutti i rischi del caso: fratture, distorsioni e altri termini medici in cui non mi voglio addentrare, con la possibile aggravante della pioggia, che rende il pallone più pesante e scivoloso, e il portiere un ruolo masochista. Qualche portiere si era già accorto dell'utilità di indossare dei guanti, ma i materiali utilizzati (cotone, lana e altri termini tessili in cui non mi voglio addentrare) non erano all'altezza delle mani callose che portavano con sé anni e anni di onorato servizio, così la moda dei guanti non prese piede, e mi perdonerete il gioco di parole.
Almeno fino a metà degli anni '70, quando, grazie alla Reusch e allo storico portiere del Bayern Sepp Maier, i guanti iniziano ad assumere la forma e i materiali adatti alla loro funzionalità. Altre cose per cui è noto Sepp Maier, oltre ai trofei vinti con Germania e Bayern Monaco: è stato il primo portiere a subire un cucchiaio su calcio di rigore, in una partita, annoiato, ha dato la caccia ad un'anatra, gira la leggenda che dopo il ritiro sia stato un clown da circo.
È poi con Zoff, nei leggendari mondiali dell' '82, che i guanti si affermano definitivamente, e il loro utilizzo si diffonde fino ai campetti di periferia, e a quelli improvvisati per le strade. Le mani dei portieri scompaiono velocemente dai nostri occhi, sostituiti da queste manone che iniziano a diventare anche uno status symbol. Se adesso siamo anestetizzati a scarpe e parastinchi personalizzati, fino a qualche decennio fa l'unico calciatore che poteva realmente distinguersi, in fatto di stile, in campo era il portiere, proprio grazie ai guanti. Topos del portiere come icona di stile in campo confermata successivamente dall'arrivo delle maglie dei portieri, riconosciute da sempre come una tela per gli artisti più folli del pianeta.
Da qui in poi, i guanti si sono evoluti tanto, in modi che nessun tifoso ritiene realmente importanti. Per quanto la tecnologia vada avanti, difficilmente arriveremo al punto di assistere ad una stupenda presa in volo e pensare "Che guanti incredibili!": ogni merito andrà sempre al portiere, ed è giusto che sia così. Ma, come detto all'inizio, in ogni viaggio verso il futuro, verso guanti spidermaniani, c'è sempre quel tizio che decide di tornare un po' al passato, magari senza seguire necessariamente la ragione, quel tizio che decide di sfilarsi i guanti.
Ricardo Pereira era il portiere dello Sporting Lisbona del 2004, e si era sempre distinto per le sue capacità in porta, anche se non riuscì mai a sbarcare nelle grandi squadre dei Top 5. Anche agli Europei del 2004, giocati in casa, risulta decisivo allo sbarco in finale dei lusitani, che poi verranno sconfitti dall'inaspettabile Grecia. Ai quarti di finale, il Portogallo incontra l'Inghilterra di Lampard, Beckham, Gerrard, Scholes, ma anche la Seleção ha i suoi campioni (d'altronde era l'anno del Porto di Mourinho che vince la Champions): Figo, Deco, Carvalho e un 19enne Cristiano Ronaldo sfidano la nazionale dei Tre Leoni e dopo 120 minuti il risultato è bloccato sul 2-2.
I rigori non sono altro che un'esasperazione del calcio stesso: attacco contro difesa, uno contro uno, tiro contro parata. I rigori sono sempre importanti, quasi sacri, ad ogni rigore cui assistiamo abbiamo il riflesso spontaneo di trattenere il respiro, di aspettare in religioso silenzio il gol, o la parata. Il portiere, in particolare, è colui che nel momento del rigore trova tutto il suo campionario di abilità e rivive, in lampi di flashback, tutti gli allenamenti della sua vita. Riflessi, forza, intuizione, coordinazione, tutto è indispensabile. E un po' di fortuna e psicologia non guasta di certo.
Il primo rigore lo tira Beckham, che ha tirato 10 rigori in carriera e sbagliato solo questo, mandandolo nella stratosfera. Un altro rigore sbagliato da Rui Costa riporta la situazione in parità, fino a quando non si presenta su dischetto Darius Vassell. In quel momento, Ricardo Pereira decide di sfilarsi i guanti, a suo dire per distrarre l'avversario. Appunto, la psicologia che dicevamo prima, per quanto un po' fai-da-te. L'arbitro fischia. Vassel parte con la rincorsa e colpisce il pallone di collo. Il pallone, però, non entra in rete e si infrange sulla nuda pelle delle mani di Ricardo. Quante probabilità c'erano che l'unico portiere della storia che abbia deciso di gettare via i guanti durante dei calci di rigore, sarebbe riuscito a parare quel rigore? Per Ricardo, probabilmente, la percentuale si aggirava intorno al 100%. Lo si vede dagli occhi, dalla sicurezza che trasmette dopo aver liberato le sue mani. Sembra più in controllo, più deciso, come se quei guanti lo proteggessero, ma allo stesso tempo soffocassero la sua potenza. Poi, come nelle storie che raccontiamo ai nostri amici per vantarci, a cui aggiungiamo una cosa in più, che renda la storia bulimicamente straordinaria, Ricardo tirerà il rigore successivo, spedirà la palla alle spalle di James, e porterà il Portogallo in semifinale. Se non ci fossero le prove, direi che è tutto inventato, ma così non è.
Vi invito a guardare l'esultanza di Ricardo subito dopo il rigore parato: stringe i pugni e si colpisce la mano, come se ci stesse dicendo "Posso continuare senza guanti per tutta la serata, non ho sentito nulla!". Poi, va sul dischetto e calcia un rigore perfetto. Strano finale, per la storia di quella volta che abbiamo visto le leggendarie mani di un portiere.
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