Allegri l'equilibrista: come responsabilizzare i talenti senza bruciarli
Il profilo per certi versi astratto e futuribile di una NextGen valida come serbatoio di talenti, come vera risorsa per la prima squadra, ha saputo tradursi in modo concreto negli ultimi anni: la Juventus, protagonista oggi di un periodo storico in cui la valorizzazione del vivaio diventa una necessità fisiologica, ha saputo concretizzare quel proposito e - rispetto ad altre realtà di primo piano del nostro calcio - sta coltivando praticamente il dialogo tra giovanili e prima squadra.
La possibilità di trovare nella Serie C una palestra più attendibile, rispetto alla Primavera, ha un ruolo cruciale - spesso ribadito da dirigenti e allenatori - ma ciò che attira altrettanto l'attenzione è l'atteggiamento (sostanziale e comunicativo) di Massimiliano Allegri rispetto ai più giovani. Il tecnico bianconero rende evidente quanto il ruolo di allenatore porti in sé l'impopolare responsabilità, quando è il caso, di "tarpare le ali" e di coltivare la religione del basso profilo come urgenza vitale per non bruciare il giovane talento di turno.
Un gioco di equilibri
Il caso di Kenan Yildiz appare eloquente sia per questioni di attualità, trattandosi del nome più chiacchierato di casa bianconera, che per distanza tra clamore (quello delle giocate e delle attese) ed equilibrio professato da parte di Allegri. Il clamore lo portano con sé, chiaramente, gol come quelli messi a segno contro Frosinone e Salernitana: sprazzi efficaci di un indubbio talento, felice incrocio di tecnica, rapidità e fantasia che Allegri ha sintetizzato come "intelligenza". L'equilibrio è, appunto, quello che emerge dalle parole del tecnico livornese e da quella esigenza di parlare quasi sottovoce di un talento, anche nel momento in cui tutti in sala stampa vorrebbero il titolo, il paragone accattivante da rivendere.
Allegri svolge questo suo lavoro di equilibratore seguendo due strade diverse ma ugualmente efficaci: da un lato sottolineando spesso la giovane età del talento di turno, indicando come il tempo dei giudizi sia ancora lontano per un ventenne, d'altro canto rimarcando il peso del collettivo e la funzione cruciale dei più giovani, quella di dare profondità alla rosa. Proprio parlando di Yildiz, infatti, Allegri ha spostato così l'attenzione: "Arrivare in fondo alla stagione non possiamo farlo con 11 giocatori. Bisogna che tutti siano coinvolti. Oggi è un anno dalla scomparsa di Gianluca Vialli, lo ricordo con affetto: impersonificava al massimo il valore del gruppo, della Juventus. Mettere da parte l'io e ragionare con il 'noi'".
Né bambini né campioni
Una retorica che "normalizza" il ruolo del giovane di turno e che tiene alla larga la lente d'ingrandimento dei media, che spinge lontano i riflettori che inseguono il singolo. La voglia appunto di normalizzare l'inserimento dei giovani, di leggerlo come percorso a lungo termine e non mordi e fuggi, Allegri la esplicitò parlando di Fabio Miretti, nel momento in cui le attenzioni erano tutte rivolte al giovane centrocampista: "In Italia c'è questa abitudine per cui i giovani un giorno sono dei fenomeni e quello dopo vengono buttati giù, ma non sono dei pesci che prima li tiri su e poi li rigetti in mare: c'è un percorso da seguire" disse il tecnico dopo il debutto di Miretti da titolare, col Venezia, in vista della partita col Genoa e di una nuova titolarità.
Al contempo, però, il tecnico bianconero ha saputo spesso caricare e responsabilizzare i suoi giovani, trattandoli già da giocatori "veri" e non soltanto da pianticelle da coltivare: lo ha fatto con Miretti stesso, nei giorni del suo debutto, così come lo ha fatto con Barrenechea e Iling-Junior. Allegri, infatti, ha spesso sottolineato come la propria fiducia nei confronti dei prodotti della NextGen non fosse semplicemente figlia dell'"emergenza" o di estemporanee manie da scopritore di talenti: "Ho fatto una scelta tecnica: Leandro è più tecnico, oggi mi serviva un giocatore come Barrenechea", disse ad esempio per commentare la preferenza accordata a Barrenechea rispetto a Paredes, in Juve-Sampdoria.
Parole a cui ha poi fatto ulteriormente eco: "Barrenechea è un giocatore della prima squadra a tutti gli effetti, ha fatto una buona partita. Non è facile a 22 anni gestire momenti difficili della partita in quel ruolo lì". Non dunque una situazione episodica e fine a se stessa ma la risposta a esigenze tecnico-tattiche, con un'investitura comunque concreta. Un atteggiamento comunicativo, una retorica, che si distacca in modo dirompente da quella adottata ad esempio da José Mourinho, spesso pronto a rimarcare la natura di "bambini" dei giovani a cui ricorre, un racconto facilmente leggibile anche come potenziale recriminazione di mercato, come giustificazione per il distacco dalle prime della classe.
Una forma di alibi, per certi versi, che non trova invece riscontro nelle parole adoperate da Allegri. Tornando all'attualità si sottolineano anche le recenti parole su Nonge, da un lato esaltato perché "sa giocare molto bene a calcio" ma, al contempo, tenuto coi piedi per terra poiché "va raddrizzato". Un sapiente ed equilibrato dosaggio quello di Allegri: una necessità vitale quando si tratta di raccontare il percorso di un giovane al cospetto della prima squadra, con una maglia pesante come quella della Juventus con cui fare i conti. Un'opera da equilibrista che diventa urgente per riuscire da un lato a responsabilizzare e, dall'altro, a tenere alla larga il richiamo dei titoli e del clamore (che spesso genera meteore che si esauriscono in fretta).