Anatomia di un flop: la Saudi Pro League tra dati oggettivi e giudizi affrettati

  • Pochi tifosi negli stadi, seguito ridotto in TV e tentato esodo: è un flop senza appello?
  • Saudi Pro League tra riscontri presenti e strategie future (anche a lungo termine)
FBL-RIYADH-CUP
FBL-RIYADH-CUP / FRANCK FIFE/GettyImages
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C'è un gusto particolare, presso certe latitudini calcistiche, nel sentirsi detentori designati del gioco e nel veder confermato questo senso di dominio, amplificando o comunque rafforzando l'idea di essere depositari di un segreto, di un Sacro Graal ineluttabilmente nostro. Per attenzione selettiva si va a pescare, insomma, ciò che conferma tale punto di partenza ed è evidente che - nel porsi di fronte alla Saudi Pro League ed alla sua epopea mediaticamente recente - gli ingredienti per il comune "te l'avevo detto" o per un senso di rivalsa neanche troppo nascosto siano sotto gli occhi di tutti, corroborati da riscontri numerici che sui media (in Europa) godono di eccellente risalto.

L'impressione è che la forza del tonfo sia direttamente proporzionale all'audacia delle ambizioni: il nostro filtro ci consente di immaginare il contesto calcistico saudita come Icaro, pronto ad avvicinarsi al sole con fiducia e finito poi per bruciare le proprie ali, precipitando. Una percezione che trova spunto, evidentemente, nella rapida ascesa - nell'arco di pochi mesi - di un ambiente del tutto alieno al grande calcio. Il racconto di Cristiano Ronaldo, la sua fede cieca nella crescita esponenziale e rapida della Saudi Pro League, ha fatto sì che le attese in Europa seguissero lo stesso tempo, accelerando ogni possibile giudizio e aspettando riscontri tanto immediati quanto luminosi.

Aspettativa e realtà

Il corto circuito si è scatenato sotto la pioggia dei milioni e delle voci potenti, come quelle di CR7: scomodare fuoriclasse del calibro del portoghese, di Benzema o di Neymar fa sì che - in automatico - si attivi il desiderio di raccogliere frutti, la brama istantanea di show. Un approccio tutt'altro che timido che, a conti fatti, si trova adesso a pagare il conto (ai nostri occhi) e a non poter tenere il passo di quelle stesse aspettative. Lo spazio, come fotografia, è quello che intercorre tra una presentazione in pompa magna e uno stadio riempito solo a chiazze. O lo spazio che intercorre tra un'emittente che promette di mostrare uno spettacolo imperdibile senza considerare che, all'atto pratico, c'è chi sceglie serenamente e consapevolmente di perderselo.

Karim Benzema
Karim Benzema / Yasser Bakhsh/GettyImages

In un certo senso, parafrasando il romantico input secondo cui "la passione non si compra", rimane vero che il peso di un'identità calcistica consolidata (es. Premier League o Liga) riesca a dominare rispetto al richiamo del singolo, per quanto determinante, amato e popolare. Il tema dell'identità è un ospite tanto sottovalutato quanto determinante nelle considerazioni: intuitivamente viene da chiedersi quante persone, tra gli appassionati di calcio, sappiano di che colore siano le maglie dell'Al Hilal o chi sia l'allenatore dell'Al Ettifaq. La percentuale di risposte corrette sarà comunque inferiore, ad esempio, a quella di chi conoscerà dati o aneddoti legati ad un Everton o ad un Valencia (senza scomodare dunque le big assolute del calcio inglese o spagnolo).

Toccata e fuga?

Si tratta dunque di una costruzione che ha percorso i decenni, che si lega a un senso di riconoscimento culturale e simbolico, tanto da riempire l'immaginario degli appassionati: un singolo fuoriclasse, persino il più seguito sui social, non riesce nell'immediato a compiere quella stessa magia, a spostare gli equilibri consolidati. Basandosi sui riscontri immediati, dunque, la chiave narrativa del flop è complessa da smentire o da attaccare: ci si attende che il corso dei decenni accada in mesi e, va da sé, l'epilogo è già scritto. Di cosa ci parlano i riscontri immediati? L'aspetto in grado di fare più rumore, di portarci alla radice culturale del discorso, si lega all'esodo (compiuto o solo ipotizzato) di chi ha scelto solo pochi mesi fa di abbracciare il campionato saudita, di diventarne protagonista.

Al Ahly v Real Madrid CF: Semi Final - FIFA Club World Cup Morocco 2022
Tifosi di CR7 e del Real / James Williamson - AMA/GettyImages

Veder crollare i presupposti d'entusiasmo tracciati inizialmente, con smania di addio professata o concretizzata (come nel caso di Henderson) fa sì che buona parte della base retorica iniziale perda di forza, anche al netto di un CR7 che non vacilla (da vero uomo immagine di un intero progetto, da timbro di garanzia sulle ambizioni). Accanto alle voci sui propositi di fuga immediata si colloca il discorso tecnico-calcistico, evidentemente legato all'abisso presente tra i fuoriclasse arrivati negli ultimi mesi e un contesto lontano da quelli più competitivi a cui quei campioni erano abituati: l'insieme somiglia più a un album di figurine completato in modo disattento, a una collezione di pezzi rari, che non a una sfida tra progetti tecnici solidi e compiuti.

I numeri di un flop

Una discrepanza tra valore dei singoli e dell'insieme che si riflette, come causa effettiva, anche sulla fruizione televisiva nei principali mercati: Tebas ha spiegato in modo esplicito quanto la Saudi Pro League si sia rivelata meno appetibile del previsto a livello televisivo, senza scomodare il presidente della Liga - però - basta riferirsi al riscontro degli ascolti (non solo in Italia). Il riscontro più recente e supportato da dati, in questo senso, è quello fornito da L'Equipe e legato a Al Hilal-Al Ittihad del primo marzo: 5mila spettatori in Francia su Canal+ Foot, uno share così basso da non poter neanche essere conteggiato, numeri inferiori di ben sei volte agli spettatori di Rouen-Sochaux del 4 marzo (partita di terza serie, alla stessa ora, sempre su Canal+ Foot). Un dato non casuale, ha spiegato L'Equipe, e in linea con una media di 15mila spettatori a partita: niente che a priori assoceremmo a un campionato che vanta Neymar, CR7 e Benzema tra i protagonisti.

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FBL-ASIA-C1-NASSR-FAYHA / FAYEZ NURELDINE/GettyImages

Non si registrano rilevazioni altrettanto recenti per quanto riguarda l'Italia ma, già dai primi mesi di trasmissione delle partite di Saudi Pro League, la situazione non appariva poi tanto più rosea rispetto alla Francia: i 450mila euro per acquisire i diritti per due anni (dati Calcio e Finanza) apparivano un affare ma anche La7 deve fare i conti con una risposta tiepida, al di là della curiosità iniziale. I numeri di riferimento in questo senso sono quelli legati al 2023 (tra i 50mila e i 150mila spettatori nelle prime quattro giornate, sempre sotto al 2% di share); a livello globale invece Il Giornale fa riferimento a una media di share - nei vari Paesi in cui la Saudi Pro League viene trasmessa - tra lo 0,8% e l'1,4% (con l'Al Nassr a risollevare solo parzialmente le sorti, arrivando al 2%).

L'arrivo in massa di campioni di fama mondiale, poi, lasciava immaginare un aumento esponenziale di presenze negli stadi, in modo da poter ammirare da vicino le stelle più luminose del calcio: un'aspettativa disattesa, come dimostra la media di presenze negli stadi (fonte transfermarkt) calata dai 10.197 spettatori del 2022/23 agli 8.399 di quest'anno, senza che i club del fondo PIF facciano la differenza in modo evidente. Il quadro lascia poco margine d'interpretazione, dunque, e non è possibile associare l'arrivo dei campioni (e le ambizioni di grandezza) a un immediato riscontro misurabile in numeri e in seguito, sia a livello interno che pensando a quanto il campionato risulti "vendibile".

Al Ittihad v Al-Hilal - AFC Champions League Quarter Final 2nd Leg
Al Ittihad-Al Hilal / Yasser Bakhsh/GettyImages

Non sorprende eccessivamente l'impermeabilità dei Paesi europei, forti di una tradizione calcistica strutturata e radicata, mentre lascia più spiazzati il calo di presenze negli stadi: un aspetto che torna a connettersi al tema dell'identità, considerando come anche nel contesto arabo il fascino di club storici come Real Madrid, Manchester United o Milan superi ancora il richiamo e l'appeal del singolo campione (o della singola squadra locale). Non è casuale del resto il riscontro di pubblico di eventi come la Supercoppa spagnola o quella italiana, soprattutto quando a scendere in campo sono i club con più seguito internazionale.

Una prospettiva diversa

Si approda poi su un piano differente, quello che rimane perlopiù sommerso o fuori fuoco a causa del richiamo delle stelle luccicanti e degli annessi milioni: l'approccio ad ampio respiro, la necessità di spostarci dalla visione "per mesi" e di approdare a quella legata agli anni, ai lustri o ai decenni. Il contesto calcistico saudita sta provando di fatto a emanciparsi dall'idea di un progresso "mordi e fuggi", di un'esplosione tanto rapida quando effimera: il quesito chiave si trova probabilmente qui, nel bisogno di capire quanto la trasformazione a lungo termine possa realmente compiersi e quanto la realtà calcistica di quel Paese possa rinsaldarsi dalle fondamenta.

Al-Riyadh v Al-Hazm - Saudi Pro League
Saudi Pro League / Michael Regan/GettyImages

Campioni come orpelli dunque, come richiami, ma un piano strategico già espresso nei mesi scorsi che si lega alla crescita dei giovani talenti e alla necessità di rendere più strutturata la governance. La necessità primaria è quella di sviluppare i talenti nazionali e di affiancarli a calciatori provenienti da altri contesti: la riduzione dell'età minima consentita per poter scendere in campo in Saudi Pro League (dai 18 ai 16 anni, nel 23/24) è già un segnale ma l'aspetto chiave riguarda la composizione delle rose (35 calciatori in totale, di cui 10 con meno di 21 anni dalla stagione 2025/26). Novità che sarà seguita dalla necessaria presenza (dal 2026/27) di almeno quattro calciatori cresciuti nel vivaio di club sauditi e altri quattro nel vivaio del singolo club.

Sullo sfondo si possono poi citare esempi virtuosi o comunque orientati ancor di più alla prospettiva di ampio respiro, come la Mahd Sports Academy: l'Academy più importante e ambiziosa del contesto saudita, mossa dall'intenzione di scoprire il talento tra i giovanissimi (tra i 6 e i 16 anni) e di farlo attraverso un percorso che non veda nel solo rendimento sportivo il proprio fulcro ma che miri a favorire la crescita dei giovani talenti anche fuori dal campo (peraltro in un contesto multidisciplinare: calcio, pallamano, judo, atletica, taekwondo).

Un fronte ambizioso, come detto, con l'obiettivo strategico di sancire quel miglioramento delle fondamenta (anche a livello di infrastrutture e tecnologie) da mettere al servizio dello sport saudita, con gli occhi rivolti al futuro e col sogno di vedere - un domani - i giovanissimi talenti protagonisti anche in Nazionale. La nostra lente, i nostri presupposti, appaiono dunque falsati dal clamore dei colpi di mercato e da una forma di pregiudizio culturale (con annessa egemonia che sentiamo appartenerci). Il difetto di partenza riguarda un fraintendimento: soffermarsi solo sullo show e sottovalutare i cambiamenti a lungo termine, quelli che del resto - nella sua fase embrionale - riguardarono anche il "nostro" calcio.

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