Antonio Conte e la dimensione del Tottenham: verità o soltanto alibi?
Esistono due aspetti, due segni distintivi, che spesso - se non inesorabilmente - vengono associati al percorso di Antonio Conte come allenatore: un lato virtuoso e uno per certi versi più oscuro, un merito da un lato e un fantasma che lo segue dall'altro. La prima cifra, quella virtuosa, riguarda la capacità del tecnico di imprimere una svolta all'interno di un club e di portare una mentalità vincente in contesti che, da tempo e per ragioni diverse, faticavano ad affermarsi, stentavano a ritrovare la via del successo.
Abbiamo visto bene in Serie A, del resto, come Conte sia riuscito a rendersi il primo artefice di un ciclo alla guida della Juventus, rilanciandola dopo anni bui, e come abbia riportato lo Scudetto all'Inter, andando a interrompere quella stessa egemonia bianconera che lui stesso avviò. D'altro canto però, come aspetto meno incoraggiante che segue il tecnico salentino nel suo percorso, si sottolinea spesso un rapporto conflittuale con l'Europa emerso sia con la Juventus che con l'Inter, oltre che col Chelsea e (adesso) alla guida del Tottenham.
Milan-Tottenham secondo Conte: il confronto regge?
Pur senza soffermarsi su quello che sarà il futuro di Conte con gli Spurs, indicato da più parti come ormai compromesso e destinato a interrompersi, destano un certo stupore le dichiarazioni dello stesso allenatore in merito al divario tra il suo Tottenham ed il Milan: "Questa squadra deve lavorare tanto per diventare competitiva a un livello importante, c'è un bel po' di strada da fare. Non dimentichiamoci che l'anno scorso siamo usciti in Conference ai gironi, uno step lo abbiamo fatto e poi abbiamo trovato i campioni d'Italia. Noi non abbiamo vinto e non vinciamo da tantissimo, si sono incontrate due squadre totalmente differenti come storia".
E ancora: "Portare il livello da medio a buono è più semplice, per portarlo da medio a top subentrano i problemi". Da un lato le parole di Conte appaiono formalmente inappuntabili ed esatte, trovando del resto il conforto dei numeri e della storia: il Tottenham non è un club dalla tradizione infarcita dei successi e, in una prospettiva storica, appare evidente come il paragone col Milan faccia uscire gli Spurs con le ossa rotte.
D'altro canto, però, il campo e il palmares parlano lingue differenti e la dimensione attuale del club londinese (non valutando solo le ultime due stagioni ma andando oltre) non avrebbe niente da invidiare a quella di un Milan "in rinascita", di un corso rossonero basato sulla forza del gruppo e sulle scommesse vinte (spesso con la necessità di attendere con pazienza) sul mercato.
Uno scenario diverso: qual è la big?
In senso retorico Conte utilizza il Milan come una big di comprovato livello europeo ma è evidente che, in piena evoluzione rispetto alla stagione scorsa, i quarti di finale stessi rappresentino per Pioli e i suoi un traguardo già considerevole e che, del resto, mancava addirittura dalla stagione 2011/12. Diverso il discorso pensando agli ultimi cinque anni del Tottenham, con tanto di epoca d'oro di Pochettino culminata nella finale di Champions League della stagione 2018/19.
Impossibile, dunque, vedere il Tottenham come un club "immaturo" che deve trovare una propria collocazione: anche pensando al campo le certezze e l'esperienza non mancano, a partire da calciatori come Son e Kane (potenzialmente titolari in ogni club, anche nei più grandi). Il titolo vinto dal Milan in Serie A nella scorsa stagione non può trarre in inganno: quello rossonero poteva essere un ostacolo alla portata degli Spurs, senza dunque un divario tale da giustificare questo senso di inesorabile resa.
Monte ingaggi e mercato
Accanto alla prospettiva "storica", o comunque ai risultati ottenuti in tempi più o meno recenti, emerge una valutazione che rende insostenibile un confronto tra la realtà rossonera e quella degli Spurs: basta osservare il monte ingaggi e gli investimenti fatti sul mercato per capire come, anche nelle attese delle due proprietà, le aspettative fossero logicamente diverse e come, di fatto, uscire agli ottavi di Champions non possa soddisfare i vertici del club londinese.
Pensando al mercato spiccano gli investimenti fatti per Richarlison e Romero (58 e 55 milioni di euro) o per Bissouma (29 milioni di euro), a fronte di un Milan che (al di là di De Ketelaere) si è sempre mostrato attento e prudente prima di dedicarsi a spese così copiose, sempre con un occhio rivolto alla sostenibilità finanziaria a lungo termine e alla possibilità di realizzare plusvalenze con elementi giovani e in crescita, senza salti nel vuoto.
Il tema del monte ingaggi va inserito ovviamente, poi, nelle differenze ormai abissali tra il contesto della Premier League e quello della Serie A: non sorprende insomma che il Tottenham spenda circa 120 milioni di euro per gli stipendi dei suoi tesserati, a fronte di una spesa di circa 79 milioni di euro lordi da parte dei rossoneri. Un vero abisso, appunto, che rende dunque meramente retorico e speculativo (se non in una prospettiva puramente storica) il paragone proposto da Conte, l'idea che il Milan sia una realtà vincente e consolidata e che il Tottenham sia da ritenere ala stregua di un club "emergente" (con tutte le attenuanti del caso).