Antony e la sua trottola: l'equilibrio precario tra il circo e lo show

Antony
Antony / Visionhaus/GettyImages
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Non può risultarci certo inedita la capacità del calcio di riassumere, nei gesti tecnici e nei suoi momenti più catartici, certe contrapposizioni (eterne) e altrettante polarizzazioni che toccano la vita ben fuori dal campo da gioco. Si tratta qui dell'ordine contrapposto al caos, in un gesto - e nelle successive reazioni - si scoprono le ragioni della disciplina che si scontrano con certe schegge impazzite, con ciò che esula dal controllo e dalla possibilità di essere previsto, definito a priori.

Siamo al 38' di Manchester United-Sheriff Tiraspol, quinta giornata di Europa League, e il brasiliano Antony (sullo 0-0) riceve palla sulla destra, l'ex Ajax si accentra e inizia a roteare su se stesso, a 360 gradi (e facendolo per ben due volte). "Cos'abbiamo appena visto?" diventa spontaneamente il mood che pervade a quel punto l'Old Trafford, diventa la domanda scontata di chi ha appena assistito (di persona come dalla TV) a un gioco di prestigio più unico che raro se collocato nel contesto di un momento agonistico, nell'ambito di una coppa europea, peraltro col risultato ancora fermo sullo 0-0.

Genio oppure clown?

Una situazione su cui Ten Hag non ha voluto infierire poi nel post-partita, non definendo punitiva la sostituzione del brasiliano ma spiegando - celando un certo imbarazzo - come il cambio fosse "sostanzialmente pianificato". Chi, invece, ha scelto di andarci giù pesante è stato Paul Scholes, bandiera dei Red Devils forte di 718 presenze con la maglia del Manchester United: è evidente che l'atteggiamento di Antony, quella giocata così fine a se stessa, esuli in modo assoluto dall'indole di "eroe silenzioso" su cui Scholes ha costruito la propria carriera, il proprio prestigio.

L'ex centrocampista non si è nascosto dietro i mezzi termini e non ha dunque risparmiato ad Antony e al suo spin aggettivi come ridicolo, clownesco. Si tratta, come detto, di un eterno scontro, quello tra ordine e caos, tra disciplina e follia: uno scontro che, restando perlomeno sul pallone, difficilmente potrebbe trovare un effettivo vincitore, considerando come la perfezione (perlomeno idealmente) sia rappresentata dall'esatto incrocio di prevedibilità e genio, dalla possibilità di incanalare il talento rendendolo funzionale al risultato e al collettivo, pur senza perdere di vista il divertimento.

Paul Scholes
Scholes / Michael Regan/GettyImages

Dipende dal dopo...

Nel caso specifico, però, diventa chiaro come le ragioni di Scholes possano prendere il sopravvento: non per quel matto spin in quanto tale, no, quanto per quel che succede subito dopo, per la prosecuzione della giocata. Quel filtrante in profondità che si perde malinconicamente sul fondo - subito dopo la trottola di Antony - racchiude l'unica lezione possibile, l'unica forma di censura per chi volesse lanciarsi nei propri giochi di prestigio: è l'efficacia all'interno di un'azione che può rendere memorabile anche il gesto più folle e sconsiderato, donandogli dignità.

Il tutto considerando anche l'importanza sportiva del contesto e la giovane età del giocatore: sono situazioni che, per un 2000, rischiano di forgiare un'idea viziata da pregiudizio e da un filo di ironia neanche troppo sottile. Qualcosa che ad esempio, più in là con gli anni, può divenire già più accettato e più mediaticamente compreso (come parte di una carriera già definita): chiedere lumi, in tal senso, a un certo Cuauhtemoc Blanco.