Aspettare l'Arsenal di Arteta era la scelta giusta
Facile dirlo a posteriori. Inevitabile congratularsi con chi ha aspettato Mikel Arteta e il suo Arsenal, scegliendo l'attesa e puntando sulla continuità e il costante miglioramento. Il motivo per cui occorre farlo è che ormai da decenni nel calcio cambiare allenatori dopo qualche stagione è quasi routine. I gunners l'hanno fatto nel 2019 scommettendo sul discepolo di Pep Guardiola e, nonostante risultati altalenanti, hanno sempre sostenuto questa scelta.
Tre anni e mezzo dopo l'Arsenal è sbocciato in modo folgorante, inaspettato per i giganti degli ultimi anni di Premier League e probabilmente anche per gran parte dei suoi tifosi. Una squadra giovane, con giocatori forti e promettenti, ma senza poter contare su eccellenze mondiali (Haaland, Mbappé, De Bruyne, Neymar, Messi), sta imponendo il ritmo al campionato e non accenna a fermarsi.
Guardiola ha già dichiarato, con ironia, che il suo City non potrà vincere la Premier League e i punti di distanza dal suo ex vice sono già 8. Quelli dei Gunners in patria sono 47 in 18 partite disputate, come il Napoli, con l'unica sconfitta maturata a inizio settembre contro il Manchester United (3-1 a Old Trafford). Un salto di qualità incredibile se pensiamo che l'Arsenal non arriva tra le prime quattro da 7 anni e nella precedente stagione ha conquistato "soltanto" 69 punti, ovvero 22 in meno di quelli conquistati finora.
La media di punti a partita in Premier League è di 2.61 a partita che, proiettata oggi sulla classifica finale farebbe chiudere l'Arsenal intorno ai 100. Il futuro è ancora da scrivere e guardando al presente non può che sembrare estremamente luminoso. I bagliori nel derby londinese sono stati diversi e rappresentano dei punti saldi nell'undici di Arteta.
Le parate decisive di Aaron Ramsdale, a fine partita colpito con un calcio sulla schiena da un tifoso degli Spurs, le eccezionali capacità di Bukayo Saka nell'uno contro uno e l'errore di Hugo Lloris in occasione del gol del vantaggio (un po' di fortuna serve sempre), il mancino del nuovo capitano Martin Ødegaard (in un indiscutibile stato di grazia) e anche l'irriverenza di Gabriel Martinelli, il cui inutile stop di schiena a gara in corso è già diventato virale.
L'Arsenal è tutto questo. L'esuberanza giovanile che si concilia alla perfezione con i dettami tattici di Mikel Arteta. Quello della riaggressione e della pressione alta in molte zone del campo. Concetti applicabili grazie all'intelligenza tattica di Thomas Partey e Oleksandr Zinchenko, all'esperienza di Granit Xhaka e di un insieme di calciatori che avrebbero tutto il diritto di commettere errori dovuti alla pressione e al nervosismo.
Non succede e l'Arsenal brilla anche quando gli ingranaggi non funzionano tutti. Vince dominando e vince anche soffrendo, lasciando la sensazione di non dover a tutti i costi dominare l'avversario. Di voler gestire e allungare il parziale, senza però rischiare in tutte le situazioni pur di mostrare al mondo la propria identità. Barattare parte della propria idea di calcio per raggiungere il risultato non è da "risultatisti", ma da persone che hanno ben chiari i momenti della partita, che non perdono la concentrazione dalla stessa e sono consapevoli delle proprie possibilità e dei propri limiti.
Mikel Arteta con i Gunners ha vinto due titoli nei suoi primi sei mesi: la FA Cup e il Community Shield nel 2020, ma con una squadra diversa nei titolari per 10/11 nel primo caso e per 8/11 nel secondo. Non si può dunque dire che quelle vittorie siano state l'inizio di tutto per l'Arsenal, anche se probabilmente lo sono state per il tecnico spagnolo.
Il percorso delineato era quella giusto, e questo non sorprende. Sono in molti a tracciare linee e progetti intriganti che poi nei fatti non riescono a seguire. Tre anni e mezzo fa la scelta di Mikel Arteta a stagione in corso appariva come una sana follia. Oggi i Gunners hanno uno dei portieri inglesi più forti del momento, una difesa solida e futuribile (Saliba, Gabriel, White), eccellenze come Martin Ødegaard e Bukayo Saka, e ancora Gabriel Martinelli, Smith-Rowe, Gabriel Jesus e Eddie Nketiah. Una rosa che, senza particolari modifiche, potrebbe stare ad alti livelli almeno per il prossimo lustro.
Granit Xhaka è un capitano in campo e fuori anche senza indossare la fascia. Fascia che, come scrive Dario Saltari su l'Ultimo Uomo, è sul braccio del norvegese Ødegaard: "Lui si è preso la leadership di questa squadra seriosa e leggera al tempo stesso, Arteta gli ha anche dato la fascia da capitano togliendola dal braccio di un giocatore carne e sangue come Xhaka, come a voler tracciare una linea visibile tra la fine dell’era precedente e l’inizio della nuova".
Dopo Fa Cup, Community Shield e tre anni di lavoro, Mikel Arteta potrebbe vincere la Premier League a soli 41 anni. Una Premier con la rosa più giovane del campionato (media età 24.7 anni) e il quarto posto per valore di mercato totale nel Regno Unito. È servito del tempo, ma valeva decisamente la pena aspettare.