Atlante geografico dei Messi (Parte 4 - Americhe)
Com'è possibile che questo pianeta sia così pieno di Messi, e che, allo stesso tempo, di Lionel Messi, ce ne sia soltanto uno? Giornali e compagni di squadra entusiasti ci hanno insegnato che a volte non serve essere mancino, un dribblomane compulsivo o persino un giocatore di calcio per essere il Messi di una nazione. Questa vuole essere una guida in quattro parti ai Messi che potremmo incontrare viaggiando per tutto il mondo, a quelli dimenticati, e a quelli che dimenticheremo.
Abbiamo attraversato l'Europa, l'Asia, l'Oceania, l'Africa alla ricerca di qualcuno che portasse con dignità il nome di Messi, raccogliendo solo briciole. Ma qui, nel continente che a Messi ha dato la luce, torno a vederla anche io la luce, in fondo a questo tunnel fatto di giocatori scarsi e di delusioni cocenti. Prima di arrivare nelle terre sacre del Sudamerica, però, togliamoci rapidamente di mezzo il Nord, rappresentato dal solo Canada e dal suo Messi canadese, Hanson Boakai. Un giocatore a dir poco inesistente, che solo nel 2018 ha superato le 6 presenze stagionali, nonostante calchi i campi da calcio dal 2014. Poco da dire su questo ragazzo, che ha pur sempre ancora 24 anni, ma dubito fortemente lo risentiremo mai più nominare. Ma ora dobbiamo scendere giù, verso quelle terre che così tanto hanno dato al calcio o, almeno, al calcio di Messi. In Messico, possiamo fare la conoscenza di Luka Romero, uno dei pochi giovanissimi che abbiamo incontrato in tutto il viaggio, il più giovane, anzi. Romero ha soltanto 16 anni, ma gioca già sporadicamente nel Maiorca, alternandosi tra giovanili e Serie B spagnola. Romero mi è sembrato, dal poco materiale reperibile in rete, un futuro "Non ho mai sentito nominare questo nome", a 27 anni lo vedo trasferirsi in una squadra decaduta di Serie B messicana per riportarla alla sua grandezza storica, fallendo miseramente. Forse sono troppo disfattista, ma non mi sembra che in lui ci sia un acino del talento che abbiamo visto in Messi, ma anche in alcuni dei Messi che abbiamo conosciuto. Luka Romero, in più, è anche un usurpatore del ruolo di Messi messicano. L'originario regnante era Giovani Dos Santos, che invece mi offre molte più vibes da Messi, e infatti a 30 anni lui è finito nel Club América, un club della Serie A messicana, mica della Serie B.
Cuba! Qui i segni di Messi son pochi, quelli di Maradona tanti, ma un nuovo Messi, abbiamo imparato, lo possiamo scovare ovunque. E dopo un'attenta esplorazione, troviamo Dairon Reyes, anche lui giovane, anche lui un fantasma su internet, anche lui, nella mia immaginazione, non sembra essere destinato a grandi cose. Comunque si allena con Higuaín all'Inter Miami, qualcosa imparerà, ma non vi direi di puntare su di lui come prossimo Pallone d'Oro. Questo viaggio sarà tutto verso sud, quindi continuiamo verso altre due nazioni del Centro America, Honduras e Costa RIca. L'Honduras, calcisticamente famoso per aver portato tre fratelli al Mondiale 2010, e questo la dice lunga, ha prodotto Luis Alfredo López, di cui si conosce talmente poco che ammetto risulta quasi ridicolo in questa lista, visto che addirittura l'articolo honduregno che lo paragonava a Messi è ormai introvabile. Stiamo annegando nell'anti-professionalità, stiamo sputando sulle fonti, sulle statistiche, sull'impegno di un atleta, pur di avere il nostro Messi da appartamento. Vergognoso. Quasi mi verrebbe da tornare a casa e lasciare tutto.
Ma manca troppo, troppo poco, e vicino alla Terra Santa chissà cosa troveremo! Ne vale la pena, assolutamente. Il Costa Rica si è semplicemente adeguato al filone letterario in cui il tuo giocatore più forte in un ruolo offensivo è il tuo Messi, con Bryan Ruiz, e spero che sia davvero l'ultima volta. Un cliché che ha stancato, in questo viaggio, che dimostra quanta pigrizia ci sia spesso nel raccontare lo sport e in particolare nel raccontare gli atleti. Diciamo basta ai paragoni senza il minimo senso. Forse è un po' tardi per dirlo, ma vabbè.
Finalmente. Ultima parte del nostro viaggio. Siamo in Sudamerica, e si sente. Quella fotografia giallognola tipica del Messico e del Centro America scompare, lasciando spazio a più colori, vivaci, contrastanti, che sembrano svolazzare, muoversi come bandiere. Giallo, blu, rosso, verde, odori forti, spezie ed erbe, odore di caldo e di sudore, siamo in Colombia. Il Messi colombiano è quasi ridicolo, si chiama Juan Pablo Pino, ex Monaco, una carriera disgraziata. Un po' sarà la voglia di rispettare le speranze che mi ero costruito, ma questo nome in realtà qualcosa me l'ha dato, qualcosa di non legato al calcio, non a quello reale, almeno. Juan Pablo Pino era uno dei miei giocatori preferiti su PES 2008, che fece grandi stagioni con me alla guida. E quindi, era lui il Messi colombiano, eh? Virtualmente ci si è avvicinato, realmente neanche per sogno. Un bel ritorno all'infanzia per me, comunque.
Stessi colori, ma siamo in Venezuela, e Matías Lacava, 18enne, viene presentato al mondo come il Messi venezuelano, e sembra già essere caduto in declino nonostante la giovane età, almeno se si guarda la sua carriera. Inizia il percorso nelle giovanili proprio al Barcellona, poi passa alla Lazio, infine torna in Colombia, con una parentesi al Benfica. Tutto a 18 anni, tutto deludendo molto le aspettative. Nuovamente, la speranza vacilla. Ma ora siamo a tutti gli effetti nella terra del calcio. Siamo in Brasile. Il calcio qui si respira e nella mia ingenua mente è tutto come pubblicità e film mi hanno insegnato: i bambini giocano per strada, si sporcano, ce n'è uno che sembra semplicemente fortissimo, fuori contesto. Un osservatore capitato lì per caso lo nota e da lì comincia la sua avventura nel calcio europeo. Non so se Ryder Matos giocasse sulla nuda terra, ma Corvino lo notò eccome, a soli 15 anni, il Messi brasiliano. Che poi si è rivelato un limpidissimo fallimento, anche se bazzica ancora in Italia, attualmente con la maglia dell'Empoli. La delusione della risposta brasiliana a Messi è addolcita dal fatto che Ryder Matos è riuscito ad entrare nella storia di una società italiana, il Carpi, che ad un suo gol deve la prima vittoria in Serie A.
Se neanche il Brasile ci ha fatto vedere un Messi degno del peso di questo nome, come potrebbero farlo Perù, Cile e Paraguay? Il Perù si presenta con Raúl Ruidíaz, che oltre ad essere el pequeño Messi, è anche "The Flea", ossia "La Pulce". Doppio affronto. In realtà Ruidíaz sembra essere stato un buon giocatore, molto simile a Messi nell'attitudine al saltare l'uomo con la palla attaccata al piede, e si è dimostrato anche un ottimo finalizzatore, con 175 reti in 367 partite. Purtroppo, tutto questo si infrange contro una carriera giocata ai massimi livelli, ma sempre nel continente americano, che forse non ha permesso a quello che indubbiamente era un talento reale, di sbocciare al massimo.
Le ultime due tappe riguardano in un certo senso, anche l'Italia. Il Messi cileno è Nelson Bustamante, arrivato giovanissimo in Italia con la maglia del Brescia, dopo i rifiuti di Real Madrid e Inter. Rifiuti che forse dovevano essere un campanello d'allarme. Nelle giovanili delle Rondinelle non andrà neanche male, Bustamante regala belle prestazioni ed è al centro del gioco, ma poi Bologna, Lecce, Matera, Verbania e Bolzano segnano il declino di quello che sembrava essere una promessa del calcio futuro. Bustamante nel 2017 torna finalmente in CIle, a 25 anni, giocherà (per modo di dire) altre due stagioni, e si suppone che adesso si sia ritirato. Quello che era stato chiamato il Messi guaranì è una vecchia conoscenza della Serie A: Juan Manuel Iturbe. E lui c'era davvero vicino, da giovane. Perché Iturbe sembrava un fenomeno assicurato, perché l'Argentina quasi lo rapì per fargli scegliere la nazionale argentina invece dell'albirroja, perché è vero che al Porto non aveva impressionato, ma al primo anno in Italia, e sappiamo bene quanto il nostro campionato possa essere difficile per giocatori così, con la maglia del Verona, Iturbe fece vedere grandissime cose. Non era Messi, si vedeva che non era Messi. Però il tracollo che ha avuto dal trasferimento alla Roma in poi è un duro colpo per chi l'aveva visto come la "next big thing" del calcio sudamericano.
Ok, ora dovrei dire "Fine del viaggio", e mandare tutti a casa, delusi e con la testa bassa. Però, visto che siamo qui, ne approfitterei per fare un giro anche in Argentina. Camminiamo per Rosario, per le strade dove Messi mostrava per la prima volta il suo talento, ancora acerbo, o forse no, e magari qualche giornalista locale che l'aveva osservato, aveva osato chiamarlo "il nuovo Maradona". Nella nostra breve gita finale in Argentina troviamo Pablo Piatti, Mauro Zárate, Diego Buonanotte, calciatori che sono riusciti ad avere anche una buona carriera, ma che in ogni caso percepiamo come nomi deludenti, tristi, malinconici. Troviamo anche un certo Martín Acevedo, attualmente in Serie B argentina, che la buona carriera non l'ha neanche sfiorata, e il suo nome sarà solo scordato per sempre, accanto a quello di Messi. Ma ci sono anche dei "nuovi Messi" che ce l'hanno fatta. Non a raggiungere l'originale, credo che sia chiaro ormai che quella è una missione impossibile, ma ce l'hanno fatta a diventare giocatori unici, a mostrare le proprie qualità, senza subordinarle al talento di un altro, anche se questo altro è il più grande di tutti. Parlo di Paulo Dybala e di Erik Lamela, che non hanno una carriera o un palmarès accostabile a quello della Pulga, ma sono riusciti a crearsi, in particolare il primo, una personale nicchia all'interno dell'Olimpo del calcio. E chissà se non sia pronto il posto per Thiago Almada, talentino del Vélez richiestissimo da un certo Guardiola al suo Manchester City.
Messi è inarrivabile, l'abbiamo capito. I giocatori più forti che abbiamo incontrato tra i Messi di tutto il mondo non sono neanche un'unghia del piede destro del numero 10. In realtà, io credo che lo avessimo già capito prima di partire per questa piccola avventura. Un po' ho giocato con la speranza perduta, la speranza ritrovata, ma in realtà questa speranza non c'è mai stata, c'era solo la poco avventurosa sicurezza che un giocatore paragonabile a Messi non l'avremmo mai e poi mai scovato, neanche alle isole dei Caraibi, neanche nascosto nelle foreste tropicali dell'Africa o in mezzo alla folla di Pechino o ancora, al campetto vicino a casa, poco dopo il semaforo. Di Messi, a quanto pare, ce n'è e ce ne sarà per sempre soltanto uno.
Non ce la faccio, il mio OCD mi impedisce di lasciar correre il non aver preso in considerazione proprio tutti i continenti. È vero, pur essendo un continente, non è una nazione, nessuno nasce lì, ma il fastidio era insopportabile. Ecco a voi il Messi antartico, solo per tranquillizzare la mia mente.
Segui 90min su Facebook, Instagram e Telegram per restare aggiornato sulle ultime news dal mondo della Serie A.