Beltran come il primo Lautaro Martinez: parallelismo logico o forzatura?

L'incrocio sul campo dei due connazionali, in Fiorentina-Inter, ci fornisce l'assist per parlarne.
Lautaro e Beltran
Lautaro e Beltran / Rodrigo Valle/GettyImages
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L'arrivo di un attaccante argentino in Serie A rappresenta uno di quegli eventi connessi al mercato, al di là del decennio di riferimento, in grado portare in sé un carico importante di aspettative e - indubbiamente - ci sono realtà che più di altre amplificano un simile effetto. Storicamente, del resto, Firenze ha ormai tracciato un rapporto preferenziale con l'Argentina, filo conduttore che si lega a un totem del calibro di Gabriel Omar Batistuta e che conduce, inesorabilmente, a lanciarsi in ingenerosi paragoni e in ingombranti attese.

L'Argentina e i suoi paragoni scomodi

In questo senso, pensando cioè a una sorta di parallelismo storico Batistuta-Beltran (privo di qualsiasi fondamento logico di tipo tecnico) si sfocia semplicemente nella "mitologia" delle cose gigliate, in quel percorso di sacrifici che Batistuta si trovò ad attraversare nel 1991 e in un impatto complesso esploso poi in un idillio, partendo (sempre a livello simbolico) dal gol segnato alla Juventus il 26 gennaio 1992.

Lucas Beltran
Lucas Beltran / Danilo Di Giovanni/GettyImages

Serpeggia dunque nel capoluogo toscano, pur in silenzio, il sogno di veder bagnare un idillio con un gol pesante (la Juve nel 1992, l'Inter nel 2024) ma è evidente come il parallelismo più percorso - dotato di maggiore logica - sia quello che lega Lucas Beltran al suo avversario di stasera, quel Lautaro Martinez oggi simbolo dell'Inter (e capitano) che però, nell'anno del suo esordio in Italia, si trovò a fare i conti con qualche criticità.

Lautaro-Beltran: le cose che abbiamo in comune...

In entrambi i casi parliamo di attaccanti arrivati in Italia dopo un exploit in Patria, attaccanti capaci di rivelarsi più che mai prolifici con le maglie di Racing e River Plate; in entrambi i casi ci riferiamo a punte dotate di caratteristiche diverse da quelle del classico terminale offensivo, elementi rapidi e dotati di buona tecnica, capaci di compensare un fisico "non da centravanti" con doti agonistiche e acume tattico, con qualità da attaccante moderno (utile anche in appoggio a una prima punta più classica). Un altro punto in comune, tra l'altro, lo si può individuare anche nell'investimento sostenuto da Inter e Fiorentina.

Tutti presupposti che rendono anche comprensibile per Beltran, oggi, sognare di poter essere ciò che Lautaro ha saputo divenire nel tempo, partendo da un anno di esordio certo non in discesa. Nel caso di Lautaro il tema cardine era la presenza di Icardi davanti a sé, come insostituibile, e la difficoltà - con Spalletti in panchina - di trovare equilibri che permettessero una convivenza sostenibile con Maurito. Un discorso che ebbe anche risvolti "conflittuali", pensando a un entourage di Lautaro indispettito e a una tifoseria che sperava di potersi godere con più continuità l'attaccante.

Ben più "pacifica" e per certi versi morbida la situazione di Beltran: la concorrenza con Nzola è tutt'altro che serrata, l'argentino non sgomita e non dà segni di insofferenza, il problema risiede perlopiù nella necessità di agire in un modulo con una sola punta (4-2-3-1) senza dunque un riferimento a cui appoggiarsi, attorno a cui ruotare. Una differenza che, per certi versi, può anche raccontarci qualcosa della distanza tra i due: un Lautaro più orientato al ruolo di famelico centravanti e un Beltran votato spesso al rientro, al dialogo nello stretto, alla volontà di costruire e non solo di finalizzare.

Verso l'emancipazione

Potremmo insomma immaginare un'evoluzione differente, a livello meramente tattico, senza che Beltran possa mai arrivare ad essere incisivo come il connazionale e così devastante (anche per doti fisiche e di capacità di aggredire lo spazio, anche per la tanto citata cattiveria). Il tutto riprendendo anche uno Spalletti che definì "un po' egoista" Lautaro: sarebbe difficile, oggi, parlare di egoismo per definire il numero nove viola, spesso vittima del problema diametralmente opposto.

Lautaro Martinez
Lautaro Martinez / Nicolò Campo/GettyImages

Per certi versi possiamo prendere quel primo anno di Lautaro in Italia e capire come, di fatto, nel Toro esistesse già un embrione più sviluppato di ciò che sarebbe poi accaduto, con uno spazio tra l'altro inferiore rispetto a quello avuto fin qui da Beltran con Italiano (828 minuti per Beltran fin qui, 541 per Lautaro nello stesso lasso di tempo agli ordini di Spalletti, con successiva crescita anche di minutaggio). D'altro canto esiste un tema meramente numerico e realizzativo: Beltran ha segnato fin qui 4 gol in campionato, Lautaro nel suo primo anno di Serie A arrivò a quota 6, ed è evidente che il primo abbia serie possibilità di superare il più celebrato connazionale, avvicinandosi alla doppia cifra.

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Se il paragone, dunque, poggiasse sulla volontà di equiparare il Beltran di oggi con la prospettiva di divenire un "nuovo Lautaro" la forzatura sarebbe evidente, d'altro canto se si tratta di interpretare e rileggere un primo anno di ambientamento l'analisi può reggere e può anche aprire le porte per un futuro da realtà solida del calcio italiano per Beltran, per allontanare mugugni e perplessità sull'investimento sostenuto dai viola in estate. Per allontanare anche scomodi paragoni e, dunque, per emanciparsi.