Cabral-Jovic e l'eterno nodo centravanti: cercando una strada tra le critiche
Tra le tante disamine flash, tra le numerose sintesi offerte nel giorno della presa di coscienza dopo la sconfitta, è risultata particolarmente popolare quella secondo cui - in sostanza - la differenza tra Fiorentina e Inter, in finale di Coppa Italia, l'abbia fatta la presenza di Lautaro Martinez in nerazzurro e l'assenza di un suo equivalente (ammesso che ne esistano, anche in assoluto) tra le fila dei viola.
Una didascalia, semplicemente, una spiegazione con un proprio fondamento ma con logiche falle dovute all'assenza di un degno seguito. Arthur Cabral e Luka Jovic nono sono Lautaro, non lo diventerebbero neanche si tentasse di sommarli e di creare un ibrido, al contempo diventa ingeneroso gettare la croce addosso al singolo ruolo, tracciare una linea e porre il "nodo centravanti" come fulcro di ogni problema espresso dai viola nel momento più decisivo (fin qui) di una stagione movimentata.
L'oggetto principale delle critiche, come spesso accade, diventa il serbo: da un lato le occasioni sprecate (col Basilea come con l'Inter) e dall'altro un atteggiamento talvolta insofferente verso Italiano, come da noto caso social, ingredienti che lo rendono il capro espiatorio ideale, il prototipo del singolo da incolpare quando il risultato non arriva. Le occasioni sprecate, del resto, rimangono negli occhi e non se ne vanno: diventano un marchio da cui diventa difficile liberarsi, uno stigma.
Così lontani, così vicini
Esiste poi, accanto al capro espiatorio da individuare, una narrazione differente in cui si può trovare del buono: Jovic spreca quelle occasioni perché, di fatto, riesce a crearsele. Il serbo, rispetto al più generoso Cabral, riesce spesso a individuare lo spazio da attaccare, la mattonella giusta in cui arriverà il cross, sa intuire il movimento che tagli fuori il difensore e che lo sorprenda.
Al contempo emerge l'impressione che, al momento di concludere, un quintale di pressioni piombi d'improvviso su di lui: col Toro, in un contesto di maggiore leggerezza, il gol è arrivato mentre, come detto, nei momenti da dentro o fuori è successo l'opposto, i fantasmi sono tornati a farsi vedere. Ci si perde, del resto, provando ad addentrarci nelle differenze tra i due centravanti viola: rappresentano per certi versi l'uno la nemesi dell'altro, come atteggiamento e come caratteristiche tecniche, finendo per somigliarsi (loro malgrado) solo quando entrano in ballo i numeri.
Né il serbo né il brasiliano hanno raggiunto la doppia cifra in campionato, entrambi hanno trovato nella Conference il loro terreno di conquista ma, a conti fatti, riescono a trovare un punto d'incontro soltanto in quelle perplessità e in quei mugugni che tifosi e addetti ai lavori oggi si concedono. Di Cabral, soprattutto nel suo periodo migliore (tra febbraio e aprile), si è detto tanto: un centravanti dalla grande forza fisica, in grado di disturbare come pochi il centrale di turno, di pressare con intensità e di aiutare la squadra in ripiegamento, con generosità.
Da ospite a padrone: c'è spazio per il riscatto?
Di Jovic si parla in tono diverso, meno affettuoso: lo si guarda come quell'ospite che ancora deve dimostrare di trovarsi bene, che ancora deve sentirsi del tutto a casa, chiedendoci se mai succederà, se l'amarezza vista nel post-partita di Fiorentina-Inter e le esultanze talvolta rabbiose si tramuteranno in sguardi più sereni. Jovic ha spesso dato l'impressione di voler capire se la Fiorentina sia abbastanza per lui, Firenze ha spesso dato l'impressione di voler capire se Jovic sia abbastanza per lei: un intreccio di aspettative complesso da districare, considerando poi la presenza di un altro anno da trascorrere insieme.
Ci sono i margini per un riscatto? Probabilmente esistono dei crocevia necessari, dei passaggi obbligati e imprescindibili: uno di questi passa da Praga, passa dalla finale di Conference League col West Ham. Riuscire a lasciare il segno in una notte storica, per Jovic, sarebbe il lasciapassare ideale (forse l'ultimo appello) per ritrovare credito, per perdersi in un abbraccio finalmente convinto.
Al contempo esistono questioni esterne al campo, fatte di sguardi e comportamenti, faccende che - talvolta - finiscono per colpire ancor di più il tifoso, soprattutto in un'era dalla forte impronta social, fatta di interazioni e "voyeurismo virtuale". La possibilità di lasciare un segno nella storia gigliata sul campo e la necessità di tenersi alla larga da nuovi scivoloni extracampo: due pilastri, due snodi cruciali, che potranno dire cosa potrà essere il 2023/24 di Jovic a Firenze.