Caso Vlahovic, Juve o non Juve: è il caso di restare pragmatici
Un invito al pragmatismo quando in ballo c'è un pallone che rotola è ai confini con l'utopia, forse li oltrepassa anche, ma il richiamo del presente è tale da rendere un simile presupposto quasi necessità più che capriccio o scelta. Siamo oggi in un contesto in cui Kylian Mbappé, tra le stelle di un PSG che colleziona figurine più che calciatori, arriva a dire chiaramente di aver preferito un addio in estate e di essere dunque rimasto tappandosi un po' il naso: perché mai, in un contesto del genere, Dusan Vlahovic dovrebbe palesare un qualche movimento diverso nei confronti della Fiorentina? Parliamo del resto dello stesso universo che ha visto Donnarumma raggiungere la Champions col "suo" Milan per poi lasciarlo a parametro zero, con tutte le conseguenze che conosciamo all'interno della piazza rossonera.
Reazioni di pancia: Juve o no
Abbiamo tutti negli occhi, o meglio nelle orecchie, quel che l'idea di un tradimento può lasciare nel cuore (o nella pancia) di un tifoso, di chi vive in modo assolutamente viscerale il rapporto con la squadra del cuore. Tutto si spiega nella bordata di fischi indirizzata da San Siro, da buona parte dello stadio milanese, nei confronti di Gigio Donnarumma ogniqualvolta il pallone capitava dalle sue parti in Italia-Spagna di Nations League. L'idea di un giocatore legato a un club in modo palese ed esplicito, con tanto di sogni di bambino realizzati e di un futuro immaginato ancora insieme, trova nell'addio e nelle questioni economiche un brusco risveglio, al contempo anche sperare in una qualche forma di "riconoscenza" o di logica che vada oltre l'ambizione risulta fuori contesto, un antico capriccio di chi vede amore in un flirt, di chi confonde l'infatuazione occasionale per qualcosa di altro.
La reazione più immediata, di fronte a ciò che viene appunto vissuto come tradimento, è quella di abbandonarsi al rancore e alla rabbia. "Via, tribuna fino al giugno 2022 e tanti saluti", si sente dire, sempre che non si ricorra persino allo strumento così in voga dell'offesa social, della deriva razzista o degli auguri nefasti per il futuro. La pancia incassa il colpo e reagisce, prima ancora che il resto del corpo entri in funzione. E l'idea di una Juve pronta al tris (con Vlahovic in bianconero dopo Bernardeschi e Chiesa) non fa che enfatizzare intenti distruttivi e ogni moto di rabbia: si torna a far confusione, a mescolare i sentimenti con qualcosa di altro, a un certo punto il problema non è più del professionista ma diventa del tifoso, un suo personale limite insuperabile, quasi fisiologico.
Il richiamo del campo
Una società non può certo ascoltare la pancia, pur essendo formata da uomini che ci mettono impegno oltre che copiosi investimenti, e al presente è dunque necessario abbandonare ogni ombra di ripicca o di reazione d'impeto. Fare la voce grossa significa ormai vestirsi da novelli Don Chisciotte e mettersi a battagliare contro nemici che non esistono, troppo lontani per risentire dei colpi: il richiamo urgente, anche se poco accattivante, è quello di fare di necessità virtù e di ammortizzare gli effetti del trauma. Sarebbe ipocrita nascondere il peso specifico di Vlahovic in questa Fiorentina: dei 10 gol segnati fin qui dai viola 4 portano la firma del serbo, nella scorsa stagione poi è evidente come lo stesso classe 2000 abbia dato una mano decisiva alla squadra nell'ottica di salvarsi, forte della fiducia di Prandelli nei suoi confronti e della conseguente esplosione con 21 gol fatti (sfruttata poi a dovere anche da Iachini dopo il ritorno).
Considerando un confortante inizio di stagione, con un approccio intraprendente della squadra di Italiano e una classifica che fin qui sorride, sarebbe deleterio arrivare al muro contro muro, arrivare a parlare di tribuna o di fischi assordanti: che ognuno pensi al proprio interesse, dunque, sapendo entrambi come andrà a finire ma cercando di coltivare insieme le reciproche ambizioni. Incassare quanto più possibile a giugno e contare per ora sui gol di Vlahovic, senza pensare più a ciò che esula dal campo: questo il frutto possibile del pragmatismo necessario, senza soluzioni drastiche peraltro insostenibili tecnicamente dalla squadra (ad oggi).
Fiducia nel futuro
A confortare i viola, o almeno a provarci, in questo auspicio di razionalità (senz'altro sposato da Italiano) ci sono questioni tecniche e non: sul campo la squadra sta regalando diverse note liete anche a prescindere da Vlahovic, con un atteggiamento ben più coraggioso e intraprendente rispetto al recente passato, e fuori dal terreno da gioco resta da considerare una solidità della società che, a prescindere dal caso Vlahovic, non sembra vedere minacce particolarmente sinistre all'orizzonte. In sostanza esistono gli ingredienti per reggere il colpo e non farsi travolgere, chiaramente diventa protagonista in tal senso l'area tecnica, Pradè in primis, e la capacità di capire come gestire sul mercato l'addio del serbo. Non toppe o soluzioni d'emergenza, dunque, ma elementi che insieme a Nico Gonzalez, Sottil e Callejon possano accrescere il livello del reparto avanzato, portando quei gol necessari quando Vlahovic avrà spiccato il volo. Che si tratti di una garanzia come Belotti o di un prospetto promettente come Lucca è evidente che, stavolta, farsi trovare impreparati sarebbe madornale.
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