Cassano e i suoi nemici: il caso mediatico perpetuo e un fraintendimento fatale

Antonio Cassano
Antonio Cassano / Claudio Villa/GettyImages
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Sulla scena mediatica attuale, soprattutto se il pallone si prende la ribalta, diventa realmente prioritario risultare autorevoli o tutto si esaurisce nello sfruttamento totalizzante di un pulpito, di un palcoscenico, in nome della "viralità"? Quest'ultima direzione, la necessità di rendere appunto virale un contenuto e di mettergli quelle ali che gli permettano di girare e rimbalzare per la rete, sa prendersi il sopravvento e sa offuscare in modo evidente tutto ciò che c'è sotto: il ricorso al paragone provocatorio, il giudizio tagliente come cifra necessaria, elevare a eroe chi non lo è oppure smontare pezzo per pezzo chi ha saputo diventarlo.

Regole di un gioco a cui non tutti amano prendere parte: da un lato c'è chi si fa trascinare dalla dimensione quasi ludica della faccenda, concedendo e concedendosi licenze più audaci, dall'altro c'è chi richiama all'ordine e si aspetta una riscrittura del linguaggio, chi auspicherebbe un intrattenimento che non faccia più della mera provocazione la sola ragione di esistere. I mille casi mediatici generati dalla figura di Antonio Cassano rappresentano, di fatto, la quintessenza di quanto affermato: un'indole da troll trasportata nella realtà del calcio, in una realtà ricolma di personaggi dall'ego ingombrante, spesso pronta a mettere e togliere etichette in modo schizofrenico.

Masaniello o troll del calcio?

Cassano si colloca così a metà tra due diversi modelli, persino opposti: da un lato Masaniello, un ribelle pronto a far propria la causa del "bello" per scagliarsi contro il sistema, dall'altro un semplice ex calciatore che sgomita e alza la voce per reclamare un proprio spazio vitale, per restare protagonista e non perdersi sullo sfondo. Il contenitore ridanciano e anti-istituzionale rappresentato dalla Bobo TV ha avuto e ha in Cassano, dunque, il proprio punto di contatto principale con la necessaria viralità che occorre a un contenuto per respirare ma, al contempo, l'entità dei "nemici" scelti fa sì che - inesorabilmente - tutto perda di sostanza e di bilanciamento.

'Partita Del Cuore' Charity Match
Antonio Cassano / Paolo Rattini/GettyImages

Citando casi tra i più mediaticamente d'impatto possiamo citare la posizione di Cassano su totem calcistici come Cristiano Ronaldo o José Mourinho, senza sottovalutare le valutazioni tutt'altro che lusinghiere spese su Erling Haaland. Esiste un fraintendimento di fondo, una sorta di linguaggio parallelo a quello reale, che illumina la questione in modo lampante: per Antonio Cassano il calcio non è uno sport ma un principio astratto, l'ex talento di Bari Vecchia perde ogni freno e scivola in una logica di venerazione/giudizio soprattutto quando scatta (implicitamente) il riferimento a due temi portanti, da un lato Leo Messi - come divinità laica a cui riferirsi - dall'altro il tanto inflazionato concetto di "bel gioco".

Non parla di calcio, ne inventa uno

Da una parte esiste il calcio, dunque, dall'altra esiste lo stesso sport filtrato dalla lente di Cassano, con ingombranti aspetti di principio con cui fare i conti e con la negazione di tutto ciò che - nel pallone - esula dalla classe, dal talento e dal gusto estetico. Un aspetto evidente di riscrittura che diventa esplicito quando l'ex di Roma e Real Madrid si riferisce a Cristiano Ronaldo, rimarcandone una certa "normalità" rispetto a Messi: puoi segnare quanto vuoi, puoi celebrarti a oltranza ma non potrai trovare quella stessa ispirazione che il tuo rivale (la Pulga) ha in sé, come dono. Questo sullo sfondo è il chiodo fisso, come assunto di partenza.

Il numero dei gol e i trofei messi in bacheca, nella visione di Cassano, non ha un proprio peso specifico che significhi grandezza: sono aspetti figli delle circostanze, del caso o del sudore speso in allenamento, senza alcuna tensione estetica e, dunque, senza un valore. Una stessa logica che, appellandosi a diversi aspetti, si può applicare alle valutazioni espresse sugli allenatori, ultima in ordine di tempo quella su Mourinho: uno il cui calcio "vale zero", uno che ormai "è solo cinema".

Jose Mourinho
Mourinho / Alessandro Sabattini/GettyImages

Il fraintendimento di base, che si ripete, è quello di individuare un calcio che - per astratto - sia qualcosa di già stabilito a tavolino: Cassano sostituisce la parola "calcio", a livello di significato, con un gioco armonioso, corale, fatto di scambi fitti, di manovre avvolgenti, di dialogo idilliaco tra menti sopraffine. Una sostituzione semantica piuttosto deliberata, in cui si applica una forma di censura verso tutto ciò che il calcio è (ed è stato) al di là di quei principi o di quella visione.

In sostanza l'ex fantasista esercita ancora quella creatività espressa a suo tempo sul campo e inventa un gioco, lo plasma da zero, individuando codici e scale di valore svincolate dall'oggettività: una scelta, questa, che rende vero tutto e il contrario di tutto, che rende fallimentare chi è vincente e che spazza via decenni di storia. Con la convinzione illusoria che, nella memoria, resterà solo e soltanto quella sua specifica (legittima ma parziale) idea di pallone.