Chi ha paura delle rivoluzioni? Gli addii (anche dolorosi) come base per vincere

Milan, Napoli e Inter hanno dimostrato, di recente, come gli addii possano diventare una base per vincere
Giacomo Raspadori of SSC Napoli (r) celebrates with team...
Giacomo Raspadori of SSC Napoli (r) celebrates with team... / Insidefoto/GettyImages
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L'amore di un tifoso per la propria squadra riesce a tramutarsi, periodicamente, in una smania impalcabile e in una vera e propria compulsione da calciomercato: ricerca continua di notizie, proiezioni più o meno attendibili sull'undici titolare che verrà, timore costante di vedere la stella del proprio club ceduta per questioni di bilancio. Tutti ingredienti che, nel corso dell'estate, trovano il verso di mescolarsi e che movimentano l'attesa per la stagione successiva. All'interno di un percorso sportivo, al contempo, possiamo notare come - quasi fisiologicamente - esista un andamento ciclico, una necessità di rinnovare che va anche al di là dei risultati conseguiti: ogni ciclo raggiunge un proprio culmine e avvia poi una fase discendente, spingendo un club a ripartire da zero.

Milan, Napoli e Inter: il riscontro pratico

Siamo abituati, per una ricerca di familiarità, a vedere le rivoluzioni di mercato (con annessi esodi) come una minaccia ma, soprattutto di recente, non mancano situazioni in cui gli addii pesanti - qualitativamente e quantitativamente - non hanno minato il valore sportivo di un progetto, dandogli anzi nuova linfa. Un aspetto assolutamente emblematico, per esplorare questo lato virtuoso dei ribaltoni di mercato, nasce anche dalla mera osservazione delle ultime squadre scudettate a partire dal 2021/22. Il Milan di Pioli, quello capace di beffare l'Inter favorita e di approfittare dello storico inciampo di Bologna, inaugurava la propria stagione all'insegna delle dolorose assenze: quelle di Donnarumma e di Calhanoglu.

Hakan Calhanoglu, Gianluigi Donnarumma
Addii pesanti / Gabriele Maltinti/GettyImages

Due addii sanguinosi sia per valore tecnico che per rimpianti di natura finanziaria, due calciatori di quel livello persi a parametro zero, col turco che peraltro raggiunse i rivali nerazzurri andando a enfatizzare il senso di frustrazione nella piazza milanista e a suggerire scenari apocalittici. Addii che segnarono un cambio di paradigma, che posero l'accento sulla volontà rossonera di superare ogni forma di "ricatto" da parte dei calciatori più in vista e di puntare su una gestione più sostenibile ed equilibrata (anche a livello di ingaggi).

Dal Milan al Napoli, da una sorpresa a una rivelazione ancor più stupefacente e inattesa. Una sorpresa che si lega direttamente ai temi del mercato, di una sessione estiva 2022 che vide partire pilastri del calibro di Mertens, Insigne e Koulibaly, veri e propri pezzi di storia del club partenopeo, defezioni tali - sulla carta - da minacciare ogni forma di ambizione o di volo pindarico. L'opera di Luciano Spalletti, da vero e proprio alchimista, ottimizzò quanto inventato da Giuntoli sul mercato: elementi come Kim e Kvaratskhelia fornirono una nuova linfa, inattesa, a un club che sembrava al centro di una smobilitazione e di un ridimensionamento.

Lasciarsi per vincere?

Non si può ritenere sorprendente lo Scudetto dell'Inter ottenuto nel 2023/24, è evidente, ma il processo di ricostruzione della rosa appare un tratto che lega anche i nerazzurri alle due altre esperienze più sorprendenti già citate: l'ossatura già solida e un impianto tattico rodato - come quello di Simone Inzaghi - hanno permesso di reggere l'urto di fronte agli addii in massa di Onana, Skriniar, Brozovic, Dzeko e Lukaku, tutti elementi che - sulla carta - potevano apparire difficilmente rimpiazzabili.

Benjamin Pavard, Marcus Thuram
Thuram e Pavard / Image Photo Agency/GettyImages

Lo smarrimento per un addio (o per un vero e proprio esodo) appare logico e va dunque a toccare le abitudini di un tifoso, il vizio di legare le ambizioni di un club al nome di un singolo campione, ma l'esperienza - ultimamente - ci sta suggerendo di guardare oltre e di vivere il progetto sportivo di una squadra in senso più ampio. Non instant-team costruiti per vincere, dunque, e nemmeno l'incedibilità come timbro sulla vittoria: anche cedere può avviare un vero e proprio circolo virtuoso, può rappresentare per paradosso la base giusta per vincere, soprattutto in un contesto sportivo (la Serie A) sempre più povero di stelle e più affamato di idee.

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