Stessa strada per le stelle: Federico, un destino nel nome e il peso di certe notti
L'onomastica ci permette di andare dentro al senso di un nome, di scoprire da dove arriva e persino di avventurarci in legami tra il suo significato e il destino che lo segue: se parliamo del nome Federico è evidente come gli studiosi divergano in merito al senso, da un lato c'è chi ritiene che il nome abbia origini germaniche (da Frithurik) e significhi governatore pacifico, dall'altra parte esiste una corrente di tutt'altro avviso secondo cui, di fatto, il senso del nome Federico sia tutto nel destino di esplodere a Firenze per poi spiccare il volo e trovare a Torino, sponda Juventus, il proprio spazio tra le stelle.
Il sogno e l'incubo
Curioso notare come la stessa storia possa apparire il sogno più luminoso o l'incubo da rifuggire in base al punto di osservazione, come in un gioco di specchi che rivela il contrario di quel che sembrava inizialmente. Oppure, col passare del tempo, guardando da lontano sembra proprio che la prospettiva sia idilliaca ma, avvicinandosi, si scopre passo dopo passo che la faccenda ha connotati differenti e spaventosi. Corre la stagione 2016/17, la seconda di Paulo Sousa sulla panchina della Fiorentina, e due gioielli accomunati dal nome - Federico appunto - regalano soddisfazioni al popolo del Franchi: da un lato c'è Bernardeschi, già titolare nell'annata precedente e di fatto pupillo di Sousa, capace di utilizzarlo anche come esterno nel 3-4-2-1 e non solo come trequartista, dall'altra parte c'è invece Chiesa, più giovane di tre anni e lanciato nella mischia, guarda un po', proprio contro la Juventus il 20 agosto 2016 ad appena 18 anni. Non si trattava di un colpo ad effetto fine a se stesso da parte del tecnico, o del prevedibile premio a un giovane dal nome altisonante, ma del riconoscimento di un talento dotato di uno spirito unico: certo le giocate in Primavera avevano colpito nel segno ma, ancor di più, erano l'abnegazione e la rabbia agonistica a fare il vuoto tra lui e altri potenziali campioncini, altri big in divenire rimasti fermi là.
Un sogno dunque: due giovani cresciuti con la maglia della Fiorentina addosso, pronti a far parlare di sé in Serie A così come in Europa, con la prospettiva di margini di miglioramento ancora da scoprire e la garanzia di aver messo il futuro in cassaforte. Le tessere di quel mosaico iniziarono però a scomporsi quando sogni più grandi e un futuro più luminoso bussarono alla porta, prima di un Federico e poi dell'altro: ticchettio inesorabile e insistente che dal 24 luglio 2017 ci conduce direttamente al 5 ottobre 2020, che dal sogno di due gioielli che brillano col giglio sul petto trasporta in una realtà in cui il viola perde di colore, diventando in bianco e nero. Dalle prime voci alle smentite di rito, dai sorrisi ai silenzi, dalla protezione al tradimento: due storie vicine, il cui finale (lieto o meno dipende dal punto di osservazione) è stato scritto proprio ieri, al 46' di Juventus-Chelsea di Champions League.
Uguali e diversi
Tanto uguali, identici per certi tratti del loro percorso, quanto però diversi per altrettante sfumature. Del resto non è difficile capire perché le storie di Bernardeschi e di Chiesa possano fin qui differire e distinguersi: certo c'è il ricordo del periodo in viola, gestito da un lato in modo più sciolto e con dichiarazioni poi smentite dai fatti (Bernardeschi) e dall'altro in modo più sofferto e conflittuale (Chiesa), ma ancor di più c'è il capitolo bianconero della vicenda sportiva. Bernardeschi non fu a tutti gli effetti un flop in senso assoluto ma richiese un ambientamento ben più lungo e complesso rispetto al suo omonimo che, tre anni dopo, ha saputo integrarsi più in fretta e lasciare il segno con una stagione da 43 presenze, 14 gol e 10 assist tra le varie competizioni in bianconero (rispetto alla prima stagione di Bernardeschi con 31 presenze, 5 gol e 6 assist).
Il tutto sottolineando con forza ancora maggiore un rapporto con la piazza bianconera che, per il classe '94 di Carrara, non si è mai tramutato in un idillio ma che ha vissuto di strappi, di veleni e parziali riconciliazioni, il tutto con uno sfondo sempre costante di mugugni e brontolii. Del resto, a questo punto, mai nessuno chiederà a Bernardeschi di diventare un totem del riscatto bianconero, di diventarne un simbolo o un leader, mentre le aspettative in merito a Chiesa (tra Euro 2020 da protagonista e addio di CR7) sono ben più ingombranti. La famosa Chiesa al centro del villaggio, ormai espressione ai limiti del tormentone estivo, o comunque un giocatore con in mano le chiavi di un bel pezzo di futuro bianconero.
Portatore di pace
Il finale dunque, immaginandoci una sceneggiatura incentrata sulla storia di due ragazzi partiti da Firenze per spiccare poi il volo tra le braccia del nemico di sempre, la Vecchia Signora, potrebbe avere un sapore diametralmente opposto in base alla sedia che occupi al cinema, dal dramma più inesorabile all'estasi di un idillio appena prima dei titoli di coda.
Da qualsiasi punto lo si osservi, però, torna in ballo il peso di un nome: governatore pacifico o portatore di pace, Federico nella notte bianconera di Champions ha rappresentato (per l'uno e per l'altro) il timbro effettivo sulla ricerca di una nuova spinta, anche insperata, il ciak da cui ripartire con un nuovo film la cui prima scena sarebbe uno stop di petto, un filtrante di esterno e un sinistro a incrociare che si infila in rete, per poi abbracciarsi. Esattamente come all'inizio dell'altro film.