Cirillo: "Quando smetti diventa tutto più difficile. La depressione non sia un tabù"

La nostra intervista a Bruno Cirillo.
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Esclusiva - Il calcio nasconde tra le righe parentesi esterne al campo, a quella quotidianità fatta di partite e allenamenti, pezzi di vita che si mescolano a quel che riguarda strettamente il pallone. Il rettangolo verde come scenario di gioie e dolori, tra gol e delusioni che pesano come macigni. C'è chi il calcio non l'ha mai abbandonato, vivendolo da addetto ai lavori anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. Le insidie di una vita, però, non riguardano solo storie di campo e di calcio giocato, riescono a seguirti anche fuori da quel contesto, dopo che una carriera si è esaurita. Il peso di un capitolo che si chiude e di un nuovo spazio da trovare, con tutto ciò che comporta.

Bruno Cirillo, in esclusiva a 90Min Italia, ci ha raccontato come sta, cosa fa oggi e soprattutto si è aperto ai nostri microfoni su un tema fondamentale e che spesso viene trascurato: quello della salute mentale di un calciatore professionista, nelle varie fasi della sua carriera. L'ex difensore dell'Inter, della Reggina e del Siena si è soffermato anche sul ruolo del mental coach e sulla funzione dei social. Ecco quanto dichiarato.

Buonasera sig. Cirillo, una domanda che può sembrare banale: come sta in questo periodo?

"Come sto? (ride, ndr.) Si combatte, come sempre! Nella vita bisogna sempre combattere, si combatte per andare avanti e per stare bene".

Cosa fa in questo preciso istante della sua vita?

"Sto sempre nel mondo del calcio alla ricerca di giocatori, mi occupo di scouting per dare la possibilità a qualcuno di fare un percorso insieme e magari di dargli dei consigli con un po' d'esperienza che ho".

Le manca il calcio giocato? C'è qualche ex compagno squadra che sente ancora?

"Il calcio giocato mi manca, perché a chi come me ha sempre fatto solo questo e ha iniziato da piccolo a dare i primi calci al pallone per diventare un calciatore professionista un po' manca però io sono sempre in giro sui campi e assaporo sempre quella sensazione di calcio, anche se non sono più il protagonista. Rispetto a prima va un po' meglio, continuo ancora a sentirmi con tanti calciatori, di tanto in tanto ci sentiamo".

Lei ha anche affrontato il tema della depressione. Come si lega quel periodo alla fine della carriera da calciatore e al passaggio a una nuova fase?

"Ne ho parlato perché ho avuto un periodo buio quando ho smesso. Ho avuto due, tre anni dove ho avuto attacchi di panico e di depressione però grazie alla forza interiore e grazie ad alcune persone che mi hanno aiutato ne sono uscito. E' normale che quando un calciatore smette di giocare diventa un po' tutto difficile. Io ho attraversato un momento come questo, mi guardo indietro e sono felice di aver combattuto e aver vinto questa battaglia".

Tre anni fa la diffusione del COVID-19, secondo come ha impattato sulla salute mentale degli sportivi?

"Sicuramente è stato un periodo difficile per tutti, non solo per i calciatori. Sicuramente secondo il mio modesto parere ha influito un po' su qualcuno, dipende poi sempre dal carattere che ha una determinata persona".

Cosa significa vivere un momento no, cosa consiglia alle persone che faticano a trovare la luce in fondo al tunnel?

"Il consiglio è quello sicuramente di non mollare mai, di farsi aiutare da specialisti perché comunque hai bisogno di un aiuto. Alla fine sei tu con le tue forze che ne devi uscire. E' normale che se hai un piccolo aiuto male non fa, però alla fine credo che sia una questione personale. Io l'ho provato sulla mia pelle, e devi avere una grande forza interiore per poter uscire come hai detto tu da questo tunnel e trovare la luce".

Cosa si può fare per sensibilizzare sulla salute mentale degli atleti?

"Innanzitutto non è una brutta cosa parlarne. Io credo che l'argomento depressione prima fosse un tabù. Non bisogna innanzitutto vergognarsi, bisogna parlarne e più ne parli e più uno si sente bene. Sicuramente iniziare a parlarne è già un inizio importante".

Il Mental Coach è una figura fondamentale? Ha senso che i club se ne avvalgano in modo continuativo? Può essere utile per i giovani?

"Ai miei tempi non c'era questa figura, ultimamente c'è e so che molti giocatori hanno un mental coach e parlando con dei ragazzi mi dicono che riescono a trarne beneficio. Ben venga questa figura, perché è una figura per questi ragazzi perché quando si pensa a un calciatore si pensa ai soldi, alle belle macchine, che possono avere tutto nella vita ma non è così. Il lavoro del calciatore è un lavoro che ti porta dietro tante energie mentali e quindi queste figure ben vengano perché possono darti una mano per il tuo cammino".

Quanto è importante chiedere aiuto pubblicamente? I Social rappresentano un aiuto o alimentano una deriva negativa?

"I social per me se vengono utilizzati in modo corretto possono aiutare. Sappiamo purtroppo che oggi non vengono usati in modo corretto nella maggiorparte delle volte e questo può essere per te come un boomerang che ti torna dietro e che ti può far male. Quello che posso dire è che siamo quasi nel 2024 e le cose cambiano, però alcune cose vanno gestite in modo diverso e anche correttamente. Questo è il mio consiglio per i ragazzi, alcune cose vanno gestite diversamente".