Commisso e la logica del contraddittorio perpetuo: un'arma a doppio taglio

Rocco Commisso
Rocco Commisso / Nicolò Campo/GettyImages
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Esiste una corrente di pensiero secondo cui il progresso e l'evoluzione passerebbero necessariamente da dinamiche conflittuali, da una collisione che genera novità e movimento: un presupposto che rende deleteria e inutile ogni pacificazione, che rifugge insomma alla staticità data dall'accontentarsi dello status quo.

Per i fautori del conflitto come unica strada di evoluzione diventa ideale, un perfetto esempio a cui attenersi, quel che ogni conferenza stampa di Rocco Commisso finisce per proporre: al di là del rendimento della squadra, del momento specifico della stagione, al di là dell'interlocutore o del tema, se ne ricava un senso inesorabile di contrasto, una necessaria dinamica di contraddittorio col giornalista di turno, col tifoso armato di tastiera, con le istituzioni che via via si trovano a intrecciarsi col mondo della Fiorentina.

Sul fronte sportivo, soprattutto se nel contesto viola, la logica del contraddittorio può però sortire due effetti diametralmente opposti, può apparire effettivamente virtuosa da un lato ma altrettanto deleteria dall'altro.

Rivendicazioni fisiologiche

La necessità di alzare l'asticella lascia poco tempo per le questioni di forma e di modo, in tal senso le rivendicazioni di Commisso in merito ai passi compiuti ad ampio raggio per il futuro del club appaiono lecite e persino fisiologiche: imperdonabile dare per scontato (da fuori) l'investimento fatto dall'imprenditore sul mondo viola, del tutto miope sottovalutare un simile contributo.

Non si tratta qui di ragionare di aspetti folkloristici, di tirar fuori curiosità legate alle origini del patron viola o di appellarsi ai lati di maggior colore che, negli anni, Commisso ha saputo mostrare: si tratta di capire che tipo di sforzo economico e diplomatico sia stato profuso, spesso in un contesto ai limiti della paralisi, per riuscire a smuovere le acque e per contribuire a dare maggiore solidità al futuro del club, in un momento peraltro delicato, di crisi dell'intero sistema calcio.

Il riferimento al Viola Park, al netto dei ritardi annunciati ieri, è prioritario in questo senso e rappresenta un unicum rispetto a tante parole e a tanti bei propositi espressi ormai da decenni, dalle varie proprietà che si sono succedute.

Investire sulle infrastrutture è un passo che virtuosamente si cerca di far coesistere con una crescita sostenibile del club, l'approdo alla Conference League appare il giusto timbro in tal senso sui progetti viola: nessuna follia ma la capacità di rispondere con le idee alle insidie del mercato, senza cedere a ricatti o senza sentirsi schiavi delle figure che ruotano attorno al calcio, anche a costo di risultare impopolari (perlomeno a breve termine).

Rocco Commisso
Commisso e i tifosi viola / Gabriele Maltinti/GettyImages

Tutti presidenti, tutti allenatori

Ci si addentra poi in quel contesto che rende invece rischioso e deleterio professare con vigore la logica del conflitto: si tocca qui il tema dell'identità e dell'appartenenza. Al di là dei fatti, in sostanza, diventa complesso mettersi a ragionare con la città di Firenze col fare del benefattore a cui bisogna solo dire grazie, tenendo il capo chino. L'unica risposta che se ne può ricavare, per quanto superficiale, diventa: "Ma chi ti ha chiesto nulla?". La logica della continua rivendicazione e della ricerca di un nemico mediatico finisce dunque per generare una malcelata irritazione in una città che, spesso, fatica a ricevere serenamente lezioni (pur da maestri del tutto autorevoli).

Al contempo diventa fantascientifico aspettarsi una città che, nel valutare l'evento sportivo, rinunci ad ogni spirito critico (anche se banalmente basato sugli umori del momento) e metta da parte la propria indole polemica e brontolona: le "critiche a Italiano" non vanno lette come opposizione effettiva a un'idea di gioco finalmente virtuosa (e tutto sommato redditizia) ma restano inquadrate in quel giochino dialettico che da sempre contraddistingue il calcio. Il giochino che ci vede nelle vesti del tecnico e del ds di turno, che rende le "intuizioni" del tifoso - i suoi pupilli o le sue fissazioni - degne quanto lo sono quelle del tecnico che siede effettivamente in panchina.

Il tipo di riconoscenza che Commisso si aspetta, quella in cui il tifoso segue binari logici e razionali, sconfina nell'irrealtà e non tiene conto di quell'infinita marea di sfumature, di umori, di differenze che - in Italia - percorrono il focoso magma della fede calcistica, profondamente allergico a ogni forma di pragmatismo, spesso privo di memoria e davvero complesso da domare.