Il gol più bello non sembra suo: la grandezza di Messi nasce dalla sorpresa

Il 2-0 di Messi con lo United
Il 2-0 di Messi con lo United / Shaun Botterill/Getty Images
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C'è un bel film di Ken Loach, del 2009, in cui sostanzialmente un postino di mezza età vive sospeso tra una realtà fatta di amarezze e una fantasia in cui Eric Cantona, suo idolo, è di fatto il suo migliore amico, lo segue e gli fornisce consigli su come vivere. In quel film, in una delle scene più sorprendenti ed emotivamente forti, il Cantona immaginario fa una confessione al protagonista: "Il mio momento più bello? Non è stata un gol ma un assist". Una vera rivelazione, un flash che cambia prospettiva al film, al suo significato, ma anche alle idee stesse che a priori si potrebbero avere su un personaggio così istrionico, raccontato come terribilmente egocentrico.

E la sorpresa di quella scena incontra in modo piuttosto diretto un altro sussulto di stupore, quello provocato da Lionel Messi nel momento in cui, parlando del suo gol più bello, arriva a citare quello siglato in finale di Champions League al Manchester United il 27 maggio del 2009. Un gol pesante, certo, è evidente che la gioia di regalare per la terza volta la Champions League al Barcellona sia inarrivabile, come timbro sul corso fenomenale inaugurato da Guardiola, uno dei cicli più influenti e celebrati del calcio del nuovo millennio. Certo i più distratti o smemorati, provando a immaginare l'emblema del gol di Messi, si figureranno una serpentina inarrestabile tra difensori attoniti, uno scambio nello stretto concluso con un sinistro velenoso da fuori area, una punizione pennellata a lasciare il portiere a bocca aperta. Davanti alla TV, godendo di quella finale disputata all'Olimpico tra il Barcellona di Guardiola e il Manchester United di Ferguson, epocale scontro tra il futuro che incombe e il passato che resiste, aspettavo anche io che Leo Messi fosse prevedibile nel disegnare la sua perfezione, usando gli stessi colori che quel gol al Getafe nel 2007 ci insegnò a riconoscere.

"Come Maradona" si diceva allora, "Come Messi" si direbbe adesso, segno dei tempi che cambiano e dei simboli che si susseguono senza che (al presente) ce ne accorgiamo del tutto. Eppure lo stupore di quel gol così importante, quello che tagliò le gambe al Manchester United al 69' della finale già sbloccata al 10' da Eto'o, nasce proprio dalla deviazione da ciò che si poteva ritenere logico e consueto: Messi sa fare tutto, lo sappiamo, sa partire dalla propria trequarti col pallone attaccato al piede e saltare chiunque gli si pari di fronte, sa trovare l'angolino da posizioni impossibili, ma alla fine il colpo di testa è roba d'altri, da spilungoni che stanno in mezzo all'area, col "tiki taka" che alle loro orecchie suona come un tormentone estivo, un ballo esotico da fare sulla spiaggia.

La magia e la sorpresa stanno insomma in un "e invece..." generato da Xavi che prende palla sulla trequarti, si avvicina minaccioso all'area dei Red Devils, fa partire un pallone morbido e preciso che Messi segue con lo sguardo, saltando poi e beffando un'intera difesa di giganti insieme a Van der Saar, elevandosi ben oltre lo spazio effettivamente percorso con quel salto. Tutti avevano già compreso cosa fosse Leo Messi, gli anni successivi si sono poi rivelati la ripetizione incredibile di un incantesimo già prodotto, ma quel colpo di testa disse anche altro, disse che un fuoriclasse continua a sorprendere anche quando chi osserva crede di aver già visto tutto, continua a farlo e cambia così il significato del film.