Conte e Thiago Motta: l'eterno gioco delle pressioni, tra fatti e retorica

I tecnici di Napoli e Juventus rifuggono lo status di favorite e si liberano delle pressioni
Conte e Thiago Motta
Conte e Thiago Motta / Nicolò Campo/GettyImages
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Ottenere risultati positivi è necessariamente un bene? Per assurdo, ovviamente leggiamolo come puro gioco paradossale, anziché "vincere aiuta a vincere" si potrebbe quasi dire che "perdere aiuta a essere liberi". La retorica degli allenatori, nei momenti in cui le cose girano per il verso giusto, si trova spesso a toccare il desiderio di mantenere un profilo basso e di non alzare l'asticella: l'antico detto secondo cui cadendo dall'alto ci si fa più male, di fatto, trova una traduzione pratica nella narrazione fatta dai vari tecnici (non solo da quelli delle big).

Il gioco delle pressioni

Non mancano allenatori in grado di sguazzare persino nelle pressioni e di farsene carico ma, soprattutto di recente, anche i soggetti più istrionici hanno percorso spesso la via della prudenza o addirittura degli alibi stilati a priori (potremmo ricordare Mourinho e la sua Roma di bambini, per rendere l'idea). Oppure, pensando alla lotta per l'egemonia milanese e allo status dell'Inter come corazzata e del Milan come outsider, possiamo notare come - nelle ultime stagioni - difficilmente Inzaghi e Pioli abbiano voluto abbracciare lo status di favorita (anche quando comandavano la classifica), preferendo tenere bassi i toni.

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Thiago Motta / RONNY HARTMANN/GettyImages

Il gioco è lo stesso, cambiano gli interpreti e cambiano i fattori tirati in ballo: i protagonisti di oggi sono Thiago Motta e Antonio Conte, ciascuno intenzionato a liberarsi dello scomodo profilo di anti-Inter. Il presupposto retorico trova conferme più o meno solide nelle posizioni di entrambi: da un lato il tecnico della Juventus ha sottolineato di recente come il Napoli sia "costruito per lo Scudetto", in assenza di coppe europee come distrazione, d'altro canto il tecnico azzurro - protagonista dell'inizio dell'ultimo ciclo bianconero - spiega quanto la storia e il monte ingaggi sappiamo avere un peso cruciale per indirizzare le sorti di una stagione, ben di più rispetto alla presenza o meno degli impegni di coppa (posizione che a conti fatti trova anche una traduzione pratica in ciò che accade effettivamente in Serie A).

Fatti e strategie

Il fattore dello status storico e quello del monte ingaggi hanno la precedenza, in questo senso occorre assecondare quanto affermato da Conte: secondo simili basi il ruolo di anti-Inter spetterebbe davvero alla Juventus anche al di là dell'assenza delle coppe nel percorso azzurro. Al contempo però, è innegabile, una parte del racconto di Conte è viziata da (legittima) voglia di liberare il Napoli da pressioni eccessive: il riferimento ai punti di distacco dall'Inter nella stagione scorsa, ad esempio, è puramente retorico e non ha un peso effettivo nel definire i presupposti di questa stagione. Questo considerando come, tra l'altro, De Laurentiis abbia per la prima volta assecondato in toto gli input del suo tecnico, affidandogli una squadra in linea con le attese e portando in rosa quei profili di livello (come Buongiorno, McTominay, Neres e soprattutto Lukaku) naturalmente associabili al concetto di instant team.

Antonio Conte, Romelu Lukaku
Lukaku e Conte / Francesco Pecoraro/GettyImages

Inoltre, e qui subentrano le ragioni di Motta e della Juve, i bianconeri - al di là della loro storia - vivono un'epoca di necessario accostamento tra sostenibilità economica e risultati sportivi (come ribadito a più riprese da Scanavino): l'ampio ricordo ai giovani della NextGen appare già un modo pratico per comprendere il momento storico del percorso del club, anche a prescindere dal suo status inteso per astratto. Nel complesso di può dunque notare come esistano tracce fondate per liberarsi delle pressioni, affiancate però a mere strategie retoriche e comunicative volte a liberarsi di un peso, di un ruolo scomodo: il primo posto in classifica del Napoli, per assurdo, non aiuterà Conte a raccontarsi a lungo come outsider in senso stretto.