Il contrario esatto di un algoritmo: Walter Sabatini
A cavallo tra il 2021 e il 2022 il mondo della Salernitana, dopo mesi di rinvii, proroghe e fasi di stallo, si è trovato avvolto in un turbine di cambiamento capace di stravolgere i connotati di chi, nella migliore delle ipotesi, confidava di chiudere la stagione senza un'estromissione forzata (e senza precedenti) a campionato in corso. Dallo spauracchio dell'eliminazione dal calcio professionistico a una scintilla di effettiva novità, di reale distacco da un meccanismo ormai inceppato e da un giocattolo andato in frantumi (proprio nell'anno del ritorno in A, dopo una lunga attesa).
Chi vede nel risultato la sola ricetta per generare entusiasmo, o per affossarlo se le cose non vanno, non contempla l'infinito raggio di eccezioni alla regola: Scudetti accolti tiepidamente, campionati di Serie C vissuti come si vivrebbe una Champions, stagioni a metà classifica giudicate come inutili o altre - sempre a metà del guado - godute come imprese irripetibili.
L'entusiasmo può trovare residenza anche dove, in apparenza, dominano sgomento e rassegnazione: ultimo posto in classifica, un bilancio che parla di 3 vittorie, 2 pareggi e 17 sconfitte, peggior attacco e peggior difesa del campionato, 8 punti di distacco dal quart'ultimo posto, ultimo appiglio per la salvezza. "Pensiamo sempre a fare l'impresa, all'Arezzo ci salvammo in una situazione ancor più complicata di questa", ha affermato Walter Sabatini a margine del derby col Napoli, dando seguito alla presentazione come nuovo direttore sportivo della Salernitana, ennesima sfida, nuova tappa di un giro d'Italia fatto di fuochi che si accendono, di entusiasmi e contraddizioni, con la consapevolezza di non sapere (e non volere) trovare pace. O trovare ordine.
Così diversi, così uguali
Il ribaltamento di prospettiva dovuto all'arrivo di Danilo Iervolino alla guida della Salernitana, come deus ex machina in grado di sovvertire gli scenari più cupi, trova nella scelta di Sabatini come direttore sportivo una serie di apparenti contraddizioni e di affinità più sostanziali (oltre l'apparenza). Lo stesso Sabatini ha lasciato intendere quanto sia stato cruciale il ruolo di Iervolino nel trasmettergli entusiasmo, nel dargli il senso di quel che a Salerno s'intende fare: tutt'altro che una toppa, una delle tante, ma un progetto in cui credere, una battaglia a cui valga la pena partecipare.
Non il nuovo che avanza opposto alla vecchia guardia, come esperienze e carta d'identità suggerirebbero, ma l'idillio di un "visionario pragmatico" (così Sabatini ha definito Iervolino) che individua il suo uomo di campo, un cuore pulsante che ravvivi (tecnicamente) quel che il proprietario ha in mente come progetto. C'è poi un fattore decisivo, che s'intreccia con la biografia di Sabatini e con la sua esperienza nel calcio: evitare le situazioni morbide, accoglienti e spingersi sempre dove occorre sporcarsi le mani, dove il conflitto sposta le realtà più in avanti.
Sabatini ha riconosciuto in Iervolino qualcosa di simile, lo ha fatto anche dichiarando che "porterà disagio" alla sua prima presenza in Lega: il disagio propositivo delle idee, della voglia di superare il semplice stato immobile delle cose, di portare un carburante diverso. Ciò che ha scatenato la scintilla col direttore sportivo, insomma, potrebbe appiccare un vero incendio nel momento in cui s'intreccerà con altre istanze, con altre teste. Potrebbe generare anche conflitto.
Il fattore umano
L'esigenza di scoprire stimoli nuovi, una luce diversa sotto la quale osservare il calcio, spinge Sabatini tutt'ora a toccare latitudini calcistiche "insolite" senza viverle in alcun modo come un declassamento, come una rinuncia alle ambizioni passate. La dimensione umana rappresenta la cifra totalizzante dell'esperienza di Sabatini, un faro ben più luminoso rispetto al titolo vinto, alla promozione raggiunta, al giocatore scoperto di cui vantarsi appena passa un microfono da quelle parti.
Spigoli, urgenze e motivazioni esattamente personali, niente di più e niente di meno, situazioni pronte a detonare senza ipocrisie o senza raccontarsi troppe frottole: tra tante baruffe (vere o mediatiche) e altrettante ruggini spicca, per il suo significato decisivo, la rottura del rapporto con la Roma di James Pallotta nel 2016. "Il presidente e i suoi collaboratori, giustamente puntano su altre prerogative, stanno cercando un algoritmo vincente, io vivo dentro il mio istinto, non vedo il pallone come un oggetto sferoidale, per me la palla è qualcosa, vivo il mio calcio, un calcio che non può essere freddamente rimportato alla statistica che descrive un giocatore" così Sabatini metteva sul tavolo le ragioni del divorzio.
Senza la presunzione di aver ragione: era la candida ammissione di essere quel tipo di dirigente, quello che non si barcamena tra numeri e dati che altri hanno costruito ma che fiuta, studia, capisce la persona che ha davanti a prescindere dalla statistica più aggiornata. Un dirigente che conosce a menadito un metodo: non averne uno. La via di uscita da un calcio vissuto come fredda analisi, per riallacciarsi agli allenamenti seguiti quotidianamente, alla settimana del gruppo, alle motivazioni del singolo talento e dell'allenatore con cui scocca l'intesa, senza il pudore necessario di restare solo professionisti, solo ruoli che camminano.
Il tutto, poi, con la possibilità di lasciare da parte persino l'orgoglio ed essere liberi di ammettere: "Rammarico? moltissimo. Io non sono di quelli che dicono se tornassi indietro rifarei tutto. Io se tornassi indietro rifarei quasi niente di quello che ho fatto" (parole di Sabatini a Dribbling, parole di questi giorni).
A caccia del Sacro Graal
Le parole rilasciate a DAZN prima del derby contro il Napoli di Spalletti, uno Spalletti che non potrà mai essere nemico ma solo episodicamente avversario, chiariscono una volta per tutte la cifra del Sabatini dirigente e rendono più lampante che mai cosa s'intenda dire con l'espressione "uomo di calcio" (spesso abusata, di certo inflazionata).
Sabatini si entusiasma parlando dell'"odore dello spogliatoio", lo fa prima di una partita importante di Serie A ma potrebbe farlo anche da spettatore di una sfida di Prima Categoria. Chiede agli altri se non si rendono conto di cosa sia quell'odore, di cosa rappresenti. Spiega, insomma, che vivendola così non può esistere un "declassamento", non può esserci un'ambizione che abbia un valore più grande di quello stesso odore e delle sensazioni che scatena. Risponde a tanti perché a cui un algoritmo non sarebbe in grado di rispondere.
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