Cosa può dare Retegui alla Nazionale italiana e quali sono i paragoni più calzanti?
La logica del "nuovo acquisto", la curiosa attesa dei primi passi di un nuovo calciatore con la maglia della propria squadra del cuore, sembra somigliare molto da vicino alla febbrile marcia di avvicinamento azzurra verso i primi passi di Mateo Retegui con la maglia dell'Italia. L'Italia come squadra più che come Nazionale, come contesto che ha scelto di scommettere su un talento più che come richiamo identitario profondo.
La prospettiva di Roberto Mancini adesso è chiara e bada decisamente al sodo: poco tempo per le questioni di principio, occorre essere concreti e - anche per un mero discorso quantitativo - andare a pescare dove le normative ce lo consentono, ringraziando in tal senso un bisnonno materno di Canicattì come lasciapassare per vedere Retegui a pieno titolo in azzurro.
Un vuoto da riempire
Per certi versi l'atteggiamento di Mancini può suonare come un campanello d'allarme, anche in senso provocatorio: i giovani attaccanti italiani latitano oppure non giocano ad alto livello, diventa necessario andare ad attingere altrove, guardando semplicemente ai numeri e alla continuità espressa dai calciatori convocabili. Il tema del centravanti azzurro, del resto, non è un tema critico da oggi: lo è da tempo pensando a Immobile e a un rapporto conflittuale con l'azzurro, lo è pensando anche a un Belotti mai divenuto a tutti gli effetti un titolare in Nazionale.
Le incognite abbondano, pensando anche a uno Scamacca finito ai margini negli ultimi mesi al West Ham o a un Kean troppo discontinuo per pensare a un ritorno in pianta stabile tra i convocati azzurri. Ecco dunque, come in un inevitabile intreccio tra lacune da sistemare e opportunità da cogliere, emergere il profilo del classe 1999 di San Fernando. Nessuno, del resto, sta segnando quanto lui in Argentina: capocannoniere di Liga Profesional 2022 con 19 gol, guida ancora la classifica dei marcatori in questo 2023 e si sta rivelando sempre più concreto e cinico.
Paragoni scomodi
Difficile però, per un discorso di contesto, trasferire i meri numeri collezionati in Argentina in una cornice diversa: diventa dunque necessario riflettere sulle caratteristiche del calciatore, pensando anche ai tanti paragoni che si sono sprecati negli ultimi giorni. Da Gabriel Batistuta a Luca Toni passando per Giovanni Simeone a Bobo Vieri: nomi più o meno altisonanti, accostamenti più o meno pretestuosi o superficiali che ci consegnano comunque un buon carico di aspettative.
Come in tutti i casi simili è probabile che i nomi fatti non siano del tutto campati in aria e che si possa attingere da uno o dall'altro attaccante per capire di chi si parli, partendo probabilmente dal paragone più scomodo: quello fatto da Mancini citando "il primo Batistuta". In questo senso il passaggio chiave è proprio quello legato a "quale Batistuta" considerare: si parla insomma del progetto di quel grande bomber che poi è emerso in viola, della sua fase embrionale e ancora da sgrezzare e perfezionare.
Le caratteristiche di Retegui: cosa darà all'Italia?
Difficile trovare, a livello realizzativo, la natura "cannibale" del Re Leone in Retegui, pur ravvisando ovviamente la sua potenza di calcio (perlopiù destro ma riesce a disimpegnarsi col mancino) e il fiuto del gol emerso nell'ultimo anno. C'è chiaramente spazio per la tanto inflazionata "garra", quando si parla di argentini, ed è evidente che il parallelismo col Cholito possa anche reggere: Retegui dimostra di saper aggredire il possesso dei difensori e rivela un gran coraggio nei contrasti, nel corpo a corpo, anche quando va a saltare per colpire di testa (forte dei suoi 186 centimetri).
Accanto all'aggressività con cui attacca lo spazio, se servito in profondità, Retegui potrebbe sorprende piacevolmente Mancini anche per una certa "modernità" del suo gioco, che si traduce nella capacità di dialogare coi compagni e di saper capire quando arretrare il raggio d'azione e quando invece proiettarsi in avanti.
Dal punto di vista tattico il giocatore è pronto a inserirsi in un contesto in cui gli si chiede di agire spalle alla porta e di dialogare in modo semplice, il problema subentra in situazioni più complesse, quando deve far valere la tecnica nell'individuare linee di passaggio meno intuitive per i compagni: l'attitudine c'è, insomma, ma le caratteristiche tecniche non sono quelle ideali per uscire dalla "comfort zone" del passaggio più semplice.
Si tratta in ogni caso, nel complesso, di un profilo diverso rispetto a quelli a disposizione di Mancini e di un prospetto su cui lavorare con fiducia: il pericolo è quello di ritenerlo fin da subito sotto esame e di lasciarsi prendere la mano, appunto, dai paragoni ingombranti o dall'aspettativa di ritrovare subito in azzurro la stessa continuità sotto porta palesata nel Tigre.