Cronistoria a temi di un addio: come si è arrivati all'esonero di De Rossi
È trascorso un giorno dal terremoto calcistico che ha scosso la parte giallorossa della Capitale. Un'escalation di notizie con il picco di interesse arrivato nelle prime ore del mattino. Daniele De Rossi esonerato dalla Roma, sollevato dal ruolo di responsabile tecnico della prima squadra dopo sole 4 giornate della Serie A 2024-25, dopo 30 sfide totali sulla panchina del club di cui è diventato una leggenda da calciatore.
Una scelta già contestata ampiamente sui social e da coloro che si sono presentati di fronte alla sede di Trigoria, una comunicazione che anche larga parte degli opinionisti italiani fatica a comprendere. Come è arrivata a questa decisione la dirigenza giallorossa?
La realtà è che, non avendo a disposizione niente più dei comunicati emessi sul sito ufficiale giallorosso, non ci sono elementi sufficienti per comprendere a pieno cosa sia successo tra Daniele De Rossi e la dirigenza del club, se sia accaduto qualcosa fuori dal campo, oltre i risultati rimediati nelle prime giornate della Serie A 2024-25. Proviamo quindi a trasformare la cronistoria in temi e a cercare di comprendere le possibili divergenze che hanno portato a questa impopolare decisione.
Il rinnovo prima dell'arrivo del DS
Direttore e proprietà, proprietà e allenaore, direttore e allenatore. La coesistenza di tre teste e il pensiero comune nella scelta progettuale, come raccontato bene dal direttore di Cronache di Spogliatoio Emanuele Corazzi nel suo editoriale, rappresenta la base da cui partire. La decisione di rinnovare Daniele De Rossi con un triennale è arrivata prima dello sbarco del DS Florent Ghisolfi in giallorosso. Un'eventualità che può capitare, ma che, nella situazione della Roma primaverile poteva essere anche ritardata di qualche settimana per decidere di comune accordo ed evitare ripensamenti tragici dopo soli tre mesi.
L'incongruenza progettuale
Il dubbio principale, quando accadono eventi del genere, riguarda il progetto e la domanda che sorge spontanea è quale sia il corso che la dirigenza giallorossa abbia scelto di intraprendere. Rinnovare un allenatore emergente (con un'ottima media nei primi 5 mesi in Serie A e capace di raggiungere la Semifinale di Europa League) con un contratto triennale a 3 milioni di euro a stagione è indubbiamente un segnale forte. Non solo l'utilizzo del tanto citato parafulmine per l'importanza che una figura come De Rossi riveste (e rivestirà sempre) a Roma. Un rinnovo così lungo e oneroso all'inizio era sembrato quasi esagerato e ora offre l'altro lato della medaglia, l'esonero dopo 4 giornate, da un eccesso a un altro. Un'altra scelta forte che, sommata alla precedente, non regala un progetto solido, ma una situazione evoluta in così poco tempo da minarne i principi. Un'evoluzione costringe a interrogarsi sul perché la dirigenza abbia scelto di ricredersi sull'allenatore per il quale aveva messo sul piatto circa 10 milioni di euro soltanto a maggio. L'opzione Allegri-Tuchel avrebbe reso leggermente più comprensibile la volontà di cambiare per un tecnico di profilo e status riconosciuti a livello internazionale, quella di Juric propone un allenatore esperto in Italia, per cui Roma rappresenta, ad oggi, il picco di carriera.
Il mercato ambizioso ma...
Il mercato della Roma è stato ambizioso. Comparabile alla prima gestione di José Mourinho. Circa 100 milioni di euro investiti e una rosa rivoluzionata in diversi reparti, per provare a cambiarne il valore e a offrire calciatori funzionali al calcio del tecnico. Bisogna però contestualizzare la sessione alla scelta improvvisa che ha cambiato il presente della Roma. Il pacchetto arretrato è stato completato oltre la data limite della chiusura del calciomercato con gli arrivi a parametro zero di Hummels e Hermoso, a disposizione di De Rossi per meno di una partita, e anche Koné e Saelemaekers, giunti sul gong il 30 agosto, hanno svolto soltanto qualche allenamento con il tecnico (essendo stati convocati da Belgio e Francia nella sosta Nazionali di settembre). Quattro probabili titolari dell'undici giallorosso praticamente mai a disposizione del tecnico appena esonerato. Il poco tempo a disposizione per lavorare è una questione su cui la quasi totalità degli allenatori a prescindere del tipo di calcio che offrono.
Le reazioni dei calciatori
Il primo a rompere le righe è stato Stephan El Shaarawy, quello che ha condiviso più volte lo spogliatoio (da calciatore) con Daniele De Rossi. Poi sono arrivati i saluti affettuosi del capitano Lorenzo Pellegrini, di Bryan Cristante, Gianluca Mancini, e ancora Leandro Paredes, Paulo Dybala e Mile Svilar, di Angeliño, del giovane Pisilli e di Zalewski. Che siano saluti di facciata, quando ad esprimerli è l'intera struttura, in blocco, della Roma (esclusi i calciatori appena arrivati), è abbastanza improbabile. Un segnale, seppur social, che il gruppo era al fianco del proprio allenatore.
Una classifica corta
I principali titoli hanno ricondotto la volontà di cambiamento repentino alla logica del non voler disperdere tutti gli investimenti compiuti sul mercato, di non poter mancare la qualificazione alla prossima Champions League. Un allarmismo che, anche guardando alla situazione e agli avvii degli altri club, ci sembra fuori luogo. La prima piazza utile per la qualificazione alla massima competizione europea, immaginando un pronosticabile calo dell'Udinese, dista soltanto 5 punti, ampiamente recuperabili considerando anche i miglioramenti apprezzati a Marassi, in quella gara sfortunata che, di fatto, è costata la panchina a Daniele De Rossi.