Da eroe tradito a pioniere della J-League: l'altro Totò Schillaci
Nel momento degli addii, quando in ballo ci sono le icone, un colpo di spugna riesce a togliere la ruggine e ogni alone dai ricordi: la luce dei riflettori si accende e le zone d'ombra, perlomeno nel racconto fatto sul momento, spariscono. Ricordando Totò Schillaci, lo si può notare facilmente, la chiave di lettura privilegiata è quella legata al ruolo di protagonista assoluto a Italia '90: Schillaci come eroe nazionale, come figura entrata nell'immaginario collettivo per quel suo exploit, andando ad accompagnarsi al Pablito Rossi dell'82 e ad altre fotografie ben impresse nella mente, come l'urlo di Tardelli. Figure che dal campo si trasferiscono alla ribalta nazionalpopolare, toccando quei frangenti in cui il calcio diventa "di tutti" e si tramuta in un rito collettivo che unisce anziché separare.
Da mito a eroe rinnegato
L'unicità e il valore iconico si scoprono dunque, trattandosi di evento raro, in quelle figure che hanno tracciato un legame tra tifosi e appassionati dello Stivale: nel ricordo, col favore dei decenni passati, il senso di unione collettiva si amplifica ancor di più e, come detto, le ombre si allontanano. Il tema del riscatto sociale, poi, aggiunge un ulteriore spinta alla natura epica del percorso sportivo dell'ex attaccante di Messina, Juve e Inter: la sua storia calcistica da outsider diventato protagonista appare dunque, anche nel suo ricordo a posteriori, un chiaro input di speranza e motivazione, rappresentazione plastica di sogni divenuti realtà.
Schillaci come eroe nazionale, oggi come allora, come figura strettamente legata al tricolore e alla maglia azzurra (Fratelli d'Italia per sempre, ha scritto Roby Baggio per omaggiare il ricordo di quelle notti) ma - allontanandoci da quell'estate e da quelle stagioni da incorniciare anche a livello di club (88/89 e 89/90) - possiamo scoprire quanto, a un certo punto, si sia rotto il legame tra Schillaci e l'Italia del calcio, a livello di Nazionale come di club. Lo stesso Schillaci, riferendosi a Italia '90 e a quel percorso che lo vide eletto miglior calciatore del torneo oltre che capocannoniere, ha riconosciuto quanto si sentisse animato da un tocco magico, da una forza in grado di renderlo più prolifico che mai: "Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo".
Il ricordo di quel Mondiale ha in sé una piena consapevolezza, da parte di Schillaci, di quanto quello scenario fosse straordinario, di quanto uscisse dalla routine di una carriera per consegnarsi alla storia calcistica di un Paese. Immagini sulla carta ricolme di retorica ma concrete e valide quando, ed è raro, il riscontro del campo si mescola ai ricordi, si tramuta persino in musica, in evocative immagini di vita prima ancora che sportive. Lo spazio tra il ricordo e la retorica è ristretto, rischia di allontanarci da una visione lucida e più ampia della realtà, e lo Schillaci successivo al Mondiale del '90 ci fa capire quanto quello status di eroe, di intoccabile, fosse figlio di un momento specifico e fosse pronto a tramutarsi in altro, facendosi persino sbiadito.
Sul campo quel tocco magico, quell'automatismo con cui arrivava il gol, finì per incepparsi e - al contempo - il percorso alla Juventus si concluse senza onori e senza gloria, viziato dallo scontro con Poli del Bologna nel novembre del '90 (con annesse critiche) e dai rapporti non più idilliaci coi vertici bianconeri. Il passaggio all'Inter, vissuto sul momento come salvifico dall'attaccante palermitano e partito col piede giusto, dette risultati alterni e non gli permise - complici gli infortuni e le scelte di Bagnoli - di trovare continuità. Inoltre il processo di allontanamento dall'Italia del calcio si manifestò anche a livello di Nazionale: il Mondiale del '94 rimase una semplice chimera, lo stesso Schillaci si sentiva ormai fuori dai giochi e totalmente alieno rispetto al corso targato Arrigo Sacchi.
Schillaci in J-League: ravvivando il mito
Una parte integrante della storia rimane colpevolmente in secondo piano, sulla scia del ricordo di una magica parentesi eroica, e ci allontana dall'Italia, trovando in Giappone una nuova e sorprendente cornice. Un Giappone del calcio ancora lontano da quello che avrebbe poi portato protagonisti in Serie A, Nakata su tutti come vero fenomeno mediatico, e una J-League in cerca di una propria credibilità attraverso il contributo di esperti campioni internazionali chiamati a dare lustro a un contesto calcistico così distante da quello europeo. Un campionato, addirittura, a caccia di una propria struttura e di un proprio ordine: gli albori, in senso stretto, di un movimento. Gli interessi di due parti s'incrociarono, traducendosi agli occhi di Schillaci come un'opportunità senz'altro economica (5 miliardi in due anni) ma ancor di più di rilancio personale, di riconciliazione col proprio status di campione.
L'idea di diventare una semplice icona, ad appena 29 anni, poteva apparire dietro l'angolo e l'accoglienza da star in Sol Levante poteva suonare agli occhi esterni come un festoso anticipo dell'addio prematuro al calcio. L'evoluzione del percorso giapponese di Schillaci ebbe però un volto diverso e trovò una propria dignità sportiva, pur in un contesto lontano dalla Serie A: l'avventura dell'attaccante si prolungò oltre la durata stabilita dal contratto e lo vide ritrovare continuità di gol e prestazioni, coi 31 gol nel 1995 come emblema di questa sua nuova giovinezza (e con un record complessivo di 56 gol in 78 partite).
L'epilogo dell'avventura di Schillaci in Giappone fu a tutti gli effetti agrodolce: conquistò formalmente il titolo col Jubilo Iwata ma lo fece da semplice spettatore, infortunandosi nel 1997 (senza tornare mai più in campo, fino al ritiro ufficiale nel 1999). Quella che sulla carta doveva essere una parentesi per rilanciarsi, col sogno di tornare protagonista "nel calcio che conta", divenne il finale della carriera di Schillaci e riuscì ad amplificarne lo status mitologico derivato da Italia '90. Un possibile passo indietro, mosso da richiami meramente economici, fu in realtà una tappa cruciale nel percorso calcistico di Schillaci e nel modo in cui questo - a posteriori - ci viene consegnato: gli anni giapponesi come elisir, come prolungamento ideale del periodo di grazia rimasto negli occhi e nella memoria di un Paese intero.