Dai giovani alle differenze tra anni '80 e calcio moderno: le parole di Paolo Maldini
Lunga chiacchierata di Paolo Maldini ad AKOS, podcast dedicato alle storie di sport. L'ex numero tre del Milan, nonché ex dirigente rossonero, ha parlato della sua carriera con il Milan, le differenze tra l'inizio e la fine carriera sotto tanti punti di vista. Ha parlato anche della crescita dei giovani e su cosa si dovrebbe puntare per avere giocatori di livello in tutta Italia. Non potevano mancare racconti sui singoli - ex allenatori ed ex compagni. Queste le sue parole, riportate su Radio Rossonera.
"Non considererei la mia carriera come un percorso monotono, anzi è stato pieno di alti e bassi e ricco di soddisfazioni. Credo che la fortuna di un calciatore che gioca in una sola squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia comunque la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Io ho avuto la fortuna di avere oltre al talento una squadra che mirava ai massimi obiettivi: questo credo che sia stato il segreto numero uno per poter fare una carriera così lunga all'interno di un club".
"Nei primi anni non c'erano tanti video. tu non avevi la possibilità di conoscere le caratteristiche dell'avversario se non attraverso degli uomini della società che andavano a vedere le partite, ma erano tutte cose raccontate. Non credo ci fosse meno professionalità, c'era meno conoscenza e meno strumenti per rendere quel tipo di sport più professionale, non come impegno ma proprio come conoscenza".
"Soprattutto in certe squadre, e il Milan era una di queste, gli anni di giovanili erano improntati sull'acquisizione di capacità tecniche, quindi si cercava di fare molta tecnica, pochissima tattica, poi lo sviluppo anche di certe situazioni che si incontravano in campo. Ho iniziato giocando da ala destra e ala sinistra per poi dopo verso i 14 anni retrocedere fino ad arrivare a fare il terzino destro. Praticamente l'ultima parte delle giovanili nella Primavera giocavo da terzino destro. Credo sia comunque uno schema che funziona ancora oggi, anche se si tende a dare più nozioni tattiche a ragazzi che sinceramente hanno bisogno di sviluppare tutt'altro".
"I giovani hanno bisogno di sviluppare la tecnica, la capacità di scelta, quindi non essere indottrinati da allenatori che pensano di essere preparati ma alla fin fine sono molto meno visionari di ragazzi che hanno un talento che magari loro non hanno mai avuto. Preparerei i ragazzi a un altro tipo di calcio, non assolutamente tattico perché poi la tattica ha una evoluzione sempre nel tempo che più si va avanti e più è veloce, di conseguenza probabilmente li stai preparando a qualcosa che sarà già vecchio quando arriveranno in prima squadra. Certi principi di tecnica e di gioco rimarranno invece sempre attuali. Anche il lavoro fisico è diventato importante e una preparazione dei ragazzi alla competizione con gli uomini a un certo punto della crescita va fatta. Dal mio punto di vista è impossibile cambiare l'attitudine e soprattutto la mentalità di un giocatore quando fai lo switch da adulto perché sei abituato ormai a quello standard. Cambiare rotta è difficile".
"Liedholm è stato fondamentale perché era un allenatore moderno, giocavamo con i quattro difensori in linea senza seguire l'uomo già negli anni '80, pensava già ai giocatori col piede invertito. Io sono un destro naturale che si è adattato a giocare a sinistra e la possibilità di andare all'interno mi apriva più il gioco. La sua visione e il suo coraggio di mandare in campo ragazzi giovani lo ha reso un precursore nel mondo del calcio. Lui ti diceva sempre di non dimenticare mai che il calcio è un gioco, che bisogna giocare per divertirsi. Ed è una cosa che va ripetuta a tutti, dai ragazzi ai professionisti".
"Milanello è stato costruito negli anni '60, il primo centro al mondo e il Milan una delle prime squadre che ha creduto in un progetto simile. Già ai tempi c'era l'idea di un luogo chiuso, isolato e dedicato. Quando è arrivato Berlusconi ha portato organizzazione aziendale, elevando tutto e tutti al massimo livello, sia dal punto di vista calcistico che da quello organizzativo e di rispetto dei ruoli. La sua prima scelta, quella di chiamare un visionario come Sacchi ha aperto il mondo del calcio ad altri mondi. Sono arrivati preparatori dall'atletica. Le varie conoscenze si sono unite".
"Sacchi faceva lavorare tantissimo fisicamente ed è il segreto delle squadre vincenti, quando lavori più degli altri hai dei vantaggi. Siccome c'era meno conoscenza, credo di essere andato quasi sempre in over-training. Avevo 20 anni, pensandoci adesso non si conosceva l'importanza del riposo, del giorno di scarico. La tua testa era abituata a soffrire sempre, ma dal punto di vista fisico avevi alti e bassi. Spesso arrivati in campo senza gamba. Non è un caso aver vinto solo un campionato in quattro anni nell'era Sacchi, anche se eravamo focalizzati sulle coppe europee. Il numero di allenamenti era uguale, eran però più lunghi e l'intensità era al massimo, con due doppi allenamenti a settimana. Una cosa che adesso è rara, era una sperimentazione basata sul principio del lavoro ma dal punto di vista fisico a volte non avevamo performance fisiche ottimali".
"Franco (Baresi, ndr) è stato senza dubbio un grande esempio per me. Io avevo un carattere molto riservato e quindi era perfetto come lui si comportava dal mio punto di vista: poche parole, tanti fatti. Così era anche Mauro Tassotti, con un carattere diverso, così erano tanti giocatori come Evani. Diciamo che all'interno di quelle squadre c'erano giocatori molto divertenti, con i quali divertirti e giocare con una mentalità vincente".
"Si può considerare van Basten l'attaccante più forte di tutti i tempi. Poteva calciare di destro e sinistro, alto 1,88 metri, veloce, cattivo e aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto ha smesso a 28 anni: è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre".
"Quello che aveva Ronaldo non lo aveva quasi nessuno o perlomeno quando un giocatore aveva quel tipo di velocità di impatto fisico non aveva la tecnica di Ronaldo. Sinceramente riusciva a fare determinate cose con una velocità che nessun altro aveva e quindi abbinava controllo fisico, velocità e forza, a una tecnica che era sinceramente in quei 3-4 anni lì straordinaria".
"Ho sempre avuto un pochino di fastidio ai rotulei. Negli anni '80 c'erano pochi strumenti, ho iniziato a fare lavoro in palestra serie alla fine degli anni '90, quindi a 30 anni, prima la palestra mai toccata. Fino agli anni 2000 facevamo tutto con salite, discese, bosco e balzi. Dal momento che ho toccato la palestra, sono esplodo fisicamente in maniera impressionante. I migliori anni a livello tecnico e fisico sono stati nel 2002-03 e 2003-04, avevo 35 anni ma giocavo in velocità con qualsiasi calciatore".
"Ho iniziato con il Milan che aveva due massaggiatori, un dottore e avevamo più o meno quindici fasce riutilizzabili che si estendevano per chi aveva problemi alle caviglie. Poi con Berlusconi sono arrivati i prodotti usa e getta, sono arrivati più massaggiatori, più dottori e altre figure professionali come lo psicologo e altre preparatori. Cerca quindici persone. Adesso solo l'area medica è formata da 30-35 persone. C'è grande attenzione sulla salute dei giocatori".
"Da dirigente ho cercato di mettere a disposizione i miei 25 anni d'esperienza da calciatore, supportando i ragazzi. Di mio sono riservato e la notirietà va accettata ma la vedo quasi come un effetto collaterale della mia carriera. Dopo il Mondiale 1990 ho deciso di fare le vacanze negli USA. Era diventato difficile per me godermi quei quindici giorni di tranquillità senza parlare di calcio. Il calcio è però quello che mi ha permesso di girare il mondo, di imparare l'inglese e di vedere cose nuove".