Dalle chimere al disastro: Fiorentina, il vero colpo si chiama equilibrio
Possono novanta minuti di calcio trasformare, come per magia, una formazione tra le più virtuose del girone di andata, ormai additata all'unanimità come l'outsider di diritto ai piani alti, in una squadra spaurita e molle, imbrigliata dall'inizio alla fine da un avversario - il Torino - battuto piuttosto agevolmente nella sfida d'andata e alle prese con giorni a dir poco delicati?
I fatti ci rispondono di sì, rendendo vera una simile metamorfosi, ma rimane da sottolineare come, nel racconto di questa Fiorentina anche al di là dello 0-4 coi granata, si corra il rischio di toccare due estremi, due vette ugualmente inopportune e prive di equilibrio. Un racconto distorto fatto di sirene di mercato, di nuove illusioni dopo anni di magra, di minacce che si nascondono persino nei luoghi meno attesi.
Il rischio di piacersi troppo
Lo spauracchio più incombente, quello da cui guardarsi con maggiore prudenza, è una certa vanità figlia della classifica lusinghiera e di un girone d'andata ricco di luci, di elementi incoraggianti. Viene da pensare che, perlomeno per novanta minuti, la Fiorentina abbia realmente ceduto alla tentazione di specchiarsi in ciò che ha dimostrato fin qui, pensando magari che un Toro incerottato non potesse inceppare ingranaggi così oliati.
Il problema emerso in maniera dirompente non riguarda tanto il DNA della squadra, la voglia di rischiare e di osare, ma una tenuta atletica a dir poco opaca rispetto a quella granata e una serie di errori tecnici difficilmente spiegabili se rapportati con quanto visto fin qui. Una collezione di errori di misura nei passaggi, di retropassaggi azzardati e di giocate velleitarie che trova nel disastroso retropassaggio di Callejon e nell'inspiegabile rabona di Nico Gonzalez, sullo 0-4, due esempi piuttosto solidi ed efficaci per capire l'entità del pomeriggio gigliato.
Un autocompiacimento e una sufficienza fin qui mai visti e, dunque, letteralmente troppo brutti per essere veri: resta cioè la possibilità, ancora valida, di appellarsi al blackout passeggero e alla battuta d'arresto dopo un lungo lasso di tempo senza scendere in campo. Anche pensando alla prova di un Vlahovic annientato, al di là di un Bremer insuperabile, risulta ancora fuorviante e inappropriato vedere nel mercato e nelle voci un motivo di distrazione, pensarlo sarebbe poco onesto rispetto alle tante dimostrazioni date fin qui dal serbo.
Il richiamo del presente
Come spesso accade, si tratta di un episodio dei tanti in tal senso, volare troppo con la fantasia e spingersi troppo oltre può condurre, come successo, ad un brusco risveglio. Se uno 0-4 può avere mai una virtù questa è senz'altro il realismo a cui ti obbliga, un bagno di umiltà che deve mettere in guardia chiunque veda nel mercato e nelle proiezioni future una strada costruttiva per sognare in grande.
Lo spirito da ritrovare è quello di Moena, quello di chi realmente vuole diventare outsider senza però la presunzione di sentirsi qualcosa di più, senza copertine e strilli di mercato più o meno prestigiosi. Il confine tra Isco e perderle tutte (citando Italiano) è fin troppo traballante per percorrerlo, così come - ad oggi - appare solo fumo negli occhi il sogno di campagne acquisti faraoniche e di ambizioni crescenti da coltivare estate.
Niente panico
Esistono, accanto a tutto questo, delle reti di salvataggio di sicura efficacia, niente insomma che faccia pensare a un baratro imminente. Anche in tal senso l'equilibrio, nelle valutazioni, emerge davvero come il colpo più prezioso da inseguire: novanta minuti possono lasciare ferite da leccarsi ma, al contempo, non possono essere analizzati in una chiave assoluta.
Il contesto rimane quello di un sesto posto in coabitazione con Roma e Lazio, partite con obiettivi più nobili di quelli viola, con una partita da recuperare e tante frecce all'arco di Italiano (con Ikoné e Piatek in più). Tra utopie e baratro esiste uno scenario più chiaro e logico, un'onesta via di mezzo a cui il pallone è decisamente disabituato, tale da comprendere in modo piuttosto efficace quale sia la dimensione di questa, una dimensione degna e da celebrare senza il bisogno di spingersi troppo in là.
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