Tracce di Davide. Il giorno in cui Firenze applaudì la Juventus con gli occhi lucidi
Quasi tutti ricordiamo, questioni anagrafiche permettendo, dove ci trovavamo quando caddero le Torri Gemelle. Ricordiamo una prima volta particolare, un momento atteso o temuto, un momento importante. Ma non lo ricordiamo solo quel tanto da poterlo raccontare agli altri, ricordiamo il colore che aveva il cielo, se faceva caldo o no, talvolta ci rimane anche qualche traccia nei ricordi dei vestiti che avevamo addosso. Esiste una selezione severa e ineluttabile che porta la mente a dirci cos'è davvero importante, imprimendolo addosso con una grana del tutto speciale. Per esempio mi ricordo tutto di quando morì Davide Astori.
Annoiato uscii di casa sul presto, con le prime cose che trovai da mettermi addosso e i pantaloni di una tuta che di norma tra civili si userebbe sì, ma non pubblicamente. Uscii insomma di casa per "compiere il mio dovere di cittadino", si dice così, e per esprimere il mio voto: un'altra cosa che di norma non ricorderei mai, la data esatta delle elezioni. Rientrai a casa e accesi il PC, quei gesti automatici che si compiono in quantità durante il giorno, e mi si è subito impressa nella testa l'home page dell'Ansa: ero entrato per leggere qualcosa sulle elezioni e trovai invece una foto del capitano della Fiorentina, lì, in bella vista. Ci fu un momento di tilt, quello degli attimi surreali e degli eventi che, da subito, non trovi normali.
Quel che lessi oltrepassò i limiti dell'incredulità: l'Ansa diceva che il capitano della Fiorentina era morto, a Udine. Per l'esattezza titolava: "Fiorentina, Astori morto in hotel Udine". Quando si è increduli non c'è ancora spazio per la disperazione o per sentimenti lucidamente individuabili, mi chiesi immediatamente "come potesse essere". La reazione, di fatto, fu quella di aver letto una storia impossibile portata sul piano del possibile. E sì quella della "giovane vita spezzata" suona sempre come retorica, ma il cervello non comprendeva un decesso sopravvenuto per cause naturali in un ragazzo giovane, sano, sportivo, controllato. Da lì in poi i messaggi dei miei amici, qualche telefonata, qualche parola con persone distanti dal calcio ma ugualmente toccate, per una questione di sorriso che rimane e di anima che si trasmette anche sul volto, come nel caso di Davide. Sono passati tre anni.
Un momento importante ti fa ricordare tutto, sì, somiglia a una fotografia. La foto che l'Ansa usò per quell'ultim'ora così assurda, le foto di Davide sorridente, quella scattata a Moena quando gli venne dato il ruolo di capitano. Ci sono poi altre foto, saltiamo al giorno del funerale. E lì, certo, colpiva tutto: il colore del cielo, i volti scuri, le lacrime dei giovanissimi e quelle dei nonni. Io rimasi toccato da una questione, mi parve speciale: a un certo punto arrivò in piazza Santa Croce la delegazione della Juventus. C'erano Buffon, Chiellini, Allegri, c'erano tutti, c'era l'ex pupillo viola Bernardeschi. Partì un lungo applauso, Buffon si soffermò e salutò la folla, commosso. Quel momento, ancora una volta, trasportò l'improbabile (o l'impossibile) sul piano del reale, per rimanere impresso lì per sempre.
Poi, certo, nulla è cambiato. Certi semi sono troppo importanti per cambiare le piccole cose un po' meschine che percorrono il calcio, sono semi che producono frutti da altre parti. Di certo nel dominio dei ricordi e delle cose che non vanno via.
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