Davvero la Fiorentina 'gioca bene' ma non vince?

Fiorentina-Bologna
Fiorentina-Bologna / Gabriele Maltinti/GettyImages
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Lo stucchevole dibattito sulla ricerca di un'estetica nel pallone, sul concetto stesso di "giocare bene", permette di plasmare a posteriori vittorie e sconfitte, di dare un peso e un significato diverso ai risultati ottenuti: la stessa idea di "meritare" o meno un risultato fornisce un possibile appiglio dopo un esito deludente, un'arma da utilizzare di fronte a chi ci chiede il conto.

In questo senso ci siamo abituati a una narrazione comune che vede la Fiorentina come realtà propositiva, come portatrice di "bello", non appagata però sul fronte dei risultati: s'individuano insomma due binari diversi e paralleli, due lingue differenti e incoerenti tra loro.

Viene da chiedersi però, dopo ventuno giornate di campionato, se il racconto fatto - quello di una squadra che gioca bene ma non fa risultato - sia figlio di un fraintendimento di base, di un misunderstanding divenuto legge.

La lezione del Bologna

Se esistesse un premio assegnato a chi, statisticamente, fa più possesso palla i viola sarebbero più che mai in corsa per ottenerlo: in questa stagione, fin qui, soltanto il Napoli ha in mano il possesso per più tempo rispetto alla Fiorentina di Italiano. Il dato trova poi un riflesso diretto nelle idee di Italiano ed in ciò che il tecnico viola ha sempre professato, con l'idea di una squadra composta da "tutti registi", in cui ognuno sente su di sé la responsabilità di creare, in cui ogni parte in causa diventa attore principale della costruzione.

La sconfitta interna contro il Bologna ha portato però alla luce, ancora una volta, una contraddizione lampante, un distacco tra ciò che i viola si propongono di essere e ciò che effettivamente sono. Fraintendere possesso palla e dominio rappresenta il peccato originale, confondere l'estetica con la quantità di tempo col pallone tra i piedi significa, allo stesso modo, guardare il dito anziché la luna. Perché l'1-2 col Bologna rinnova questa consapevolezza? Lo fa proprio grazie ai rossoblù, capaci al Franchi di dare una rappresentazione plastica e visibile di bellezza intesa come efficacia e come reattività, di un'indole camaleontica in base ai momenti della sfida.

La sicurezza e la prontezza con cui i felsinei ripartivano dopo aver recuperato palla, la capacità di Ferguson (da trequartista atipico) di essere il primo difensore, uno Zirkzee fondamentale sia per offrire sponde ai compagni che per disturbare la costruzione dal basso dei viola: tutte chiavi di volta di un risultato tutt'altro che casuale.

Stefan Posch
Il 2-1 del Bologna / Gabriele Maltinti/GettyImages

Inseguendo una chimera

E proprio la costruzione dal basso ossessiva appare come ulteriore chiave di lettura del presente, dei risultati che da tempo non pagano: le caratteristiche di Amrabat come vertice basso della mediana rendono chiaro come, a oggi, sia complesso pensare di far partire la manovra con l'ausilio del marocchino, dotato di ben altre caratteristiche.

Il tutto considerando anche come Milenkovic e Igor abbiano grandi doti ma non siano certo dotati di quell'indole da "regista" necessaria per avventurarsi in audaci trame di gioco, in scambi ripetuti all'interno della propria stessa area. Un meccanismo ideale ricordando la Fiorentina di Montella, con Gonzalo Rodriguez al centro della difesa e Pizarro in regia, che diventa però più goffo e meccanico nell'attuale contesto gigliato, con gli interpreti a disposizione.

Sofyan Amrabat
Amrabat in azione / Gabriele Maltinti/GettyImages

Un aspetto paradossale, con cui occorre fare infine i conti, è l'addio estivo di due elementi ben più funzionali a tali principi di gioco: Odriozola come laterale basso a destra e Torreira davanti alla difesa. Il primo, rispetto a Dodò, ha palesato una maggiore capacità di leggere il gioco e di dialogare con mezzala ed esterno alto, il secondo è notoriamente più dinamico rispetto ad Amrabat e appare più naturalmente avvezzo a legare il gioco con rapidità, senza perdersi in sterzate o azioni prolungate con la palla al piede.

Un'ulteriore dimostrazione di come l'inseguimento di un astratto obiettivo "estetico" sia sempre secondario e pretestuoso rispetto alle fondamenta, quelle di una coerenza tra principi e valori specifici dei singoli: una chiave di lettura decisiva, anche a costo di dover trascurare il proprio senso di "bellezza".