Il dito della discordia: come zittire i tifosi e diventarne nemico
Sono innumerevoli gli aspetti del calcio tali da portare con sé una carica simbolica importante, tali da tramutarsi in icona e da restare stampati nella memoria, celebrati e ricordati per anni dai tifosi. Il momento dell'esultanza ha senz'altro tutte le carte in regola per rendersi iconico, per superare l'attimo in sé, la singola partita, ed entrare nella memoria degli appassionati, anche al di là dei tifosi di una singola squadra.
Non si contano, del resto, le esultanze diventate marchio di fabbrica di un determinato calciatore, gesti più o meno originali o provocatori, immagini subito spiegabili oppure opzioni più insolite e criptiche, a cui serve una spiegazione.
Tra i gesti che ogni anno caratterizzano i festeggiamenti dopo un gol, facendo al contempo discutere, figura il classico ed emblematico dito portato davanti alla bocca, all'indirizzo dei tifosi, come a volerli zittire.
L'ultimo in ordine di tempo è stato Francesco Acerbi, in occasione del 2-0 al Genoa: gol di testa al 75', prima un cuore con le mani, poi l'abbraccio ai compagni e, infine, quel gesto fatto voltandosi verso i tifosi biancocelesti. Acerbi non è il primo e non sarà neanche l'ultimo a sfogarsi così, lo stesso centrale della Lazio ha poi spiegato di pensare solo al bene della squadra, volendo in qualche modo fare mea culpa per un gesto certo poco conciliante, restando nel campo degli eufemismi.
Si tratta però di un gesto, di un movimento, che nel corso degli anni - anche restando nella sola Serie A - ha caratterizzato le esultanze di provocatori nati, giocatori istrionici, ma anche di insospettabili. Da Ibrahimovic a Balotelli passando per Osvaldo e Giovanni Simeone, ma anche Ilicic o Immobile ai tempi del Genoa: ci sono passati davvero in tanti, ognuno con una motivazione diversa e con una differente gestione di quel che è accaduto in seguito.
Diventa evidente come ogni singolo caso possa meritare una disamina specifica, senza voler accomunare motivazioni e spinte, così come i momenti particolari che un singolo si trova a vivere nell'arco della stagione, con tutta la voglia di riscattarsi di fronte alle critiche, ai fischi e ai mugugni che percorrono lo stadio e la stampa. Al contempo però esiste un filo conduttore, una connessione certo poco virtuosa che dovrebbe guidare un calciatore nel suo momento più bello, quello del gol.
Pochi attimi e poche circostanze riescono, come quella, a saldare un idillio, a sancirlo in modo ancor più solido, e tramutare il tutto in un segno di conflitto può scatenare un corto circuito difficile da gestire, complesso poi da far rientrare pur con tutta la diplomazia del caso.
Più opportuno, forse, sfogare a parole il malcontento, magari in conferenza stampa, e lasciar perdere il momento dell'esultanza, un segno di maturità e di responsabilità che non vada a intaccare il rapporto con chi non deve trovarsi a vederti paradossalmente come nemico, proprio nel momento di massima gioia. I panni sporchi, in questo caso, vanno lavati senza inquinare quella che, per eccellenza, è un'occasione di unità.
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