Djorkaeff e i messaggi del calcio: tra istanze "politiche" e libertà

Infantino e Djorkaeff
Infantino e Djorkaeff / FRANCK FIFE/GettyImages
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La natura vorticosa e schizofrenica di un Mondiale - con la logica esigenza di seguire una serrata attualità semplicemente sportiva - conduce i "grandi temi" a diventare spesso uno specchietto per le allodole, un'etichetta posticcia appiccicata su questo o quel calciatore, una cornice in cui includere (anche in modo pretestuoso o superficiale) l'evento sportivo in sé.

Si dotano cioè atleti e professionisti di un compito diverso, di un'ambizione etica o morale, che nella maggior parte dei casi esiste più nel racconto mediatico che non nelle reali intenzioni. La logica dell'agenda setting impone a chi racconta di individuare queste cornici, di seguirle, di dotare il fatto in sé (una partita di pallone) di argomenti che siano più "alti" o che rimandino ad altre storie, a una narrazione più complessa e più globale.

Harry Kane
Kane e la sua fascia / Richard Sellers/GettyImages

Un messaggio da proteggere?

Il compito talvolta è pretestuoso, come detto, e in questo senso le parole di Youri Djorkaeff, in qualità di Senior Football Advisor della FIFA, hanno un loro senso e un loro peso: "È importante che i giocatori si impegnino a portare un messaggio prima e dopo le partite, ma la partita deve essere un terreno neutro, dedicata ai valori dello sport. Un messaggio politico è meglio che non stia in uno stadio" ha detto l'ex Inter a La Gazzetta dello Sport.

In sostanza l'uomo di fiducia di Infantino vuole tenersi alla larga dall'idea della partita come pretesto per altre istanze, come terreno di scontro politico, vuole insomma rivendicare la centralità dell'evento sportivo in quanto tale. D'altro canto è evidente che la FIFA, per sua natura, abbia il dovere di non abbracciare le istanze di una singola realtà ma porti con sé un necessario occhio di riguardo per mondi tra loro lontani, per contesti distanti non soltanto in senso geografico ma prima di tutto culturale.

Youri Djorkaeff, Noel Le Graet
Djorkaeff ai Mondiali / Jean Catuffe/GettyImages

L'altra faccia della medaglia

Esiste però un contraltare più discutibile nell'approccio espresso da Djorkaeff: "È delicato quando la politica entra nello sport. Molta gente vuole far passare un suo messaggio ma il calcio porta valori propri. Se cominciassimo a dare spazio a due-tre messaggi finiremmo per limitare i valori dello sport".

L'espressione "due-tre messaggi" può apparire piuttosto svilente e mossa da un relativismo eccessivo, sia se applicata alla fascia arcobaleno (di fatto vietata) sia che si parli della volontà, forzatamente sedata, di mostrare sugli spalti una maglia col nome di Mahsa Amini per ricordarla e renderle omaggio dopo la sua tragica fine.

Wales v IR Iran: Group B - FIFA World Cup Qatar 2022
Galles-Iran / Ian MacNicol/GettyImages

Difficile, dunque, sostenere che si tratti di meri messaggi politici associati a una singola fazione, a una singola spinta, mentre il fulcro della questione è la natura universale di simili istanze, senza che possano essere associate a un singolo Paese o a una singola realtà.

Si tratta in questo caso di un presupposto diverso, con tutta probabilità, agli occhi della FIFA: è in ballo la necessità di non toccare tematiche divisive (più che politiche in senso stretto) e di dover poi rendere conto a chi questi Mondiali li ha organizzati. Si tratta di muoversi con infinita cautela per non rompere equilibri già delicati in sé, anche a costo (quello che si corre oggi) di voler tenere fuori dallo stadio messaggi universali di libertà.