La domenica surreale di Dusan Vlahovic al Franchi

Dusan Vlahovic
Dusan Vlahovic / Gabriele Maltinti/GettyImages
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Il calcio è un gioco piuttosto semplice per certi versi, perlomeno non dovrebbe causare problemi o crisi d'identità: in sostanza, dal momento in cui sei pervaso dalla fede per una squadra (con esiti più o meno lieti), sei portato con naturalezza a seguire quella stessa maglia a prescindere da chi, poche volte o per una vita, se la mette addosso.

La creazione di un noi e di un voi, in pratica, dovrebbe essere l'esito più spontaneo ma, a quanto pare, esiste anche lo spazio per un surreale corto circuito in cui fischi e applausi si alternano, cuore e mente fanno la staffetta, amore e rancore fanno rima.

Quel che sta vivendo Dusan Vlahovic, dopo il rumoroso no al rinnovo come Commisso ha reso esplicito venti giorni fa, si svolge appunto su di un filo sottile, su cui si può camminare ma che potrebbe anche rompersi: i novanta minuti di Fiorentina-Cagliari, al di là del rotondo successo viola, hanno regalato momenti di imbarazzo, di ambiguità, come di una coppia che sa di doversi lasciare ma continua in qualche modo a piacersi, a flirtare al di là del domani.

Fischi per lui

Assieme alla volontà di scoprire se il passo falso di Venezia fosse una caduta estemporanea o un prematuro declino, i minuti a ridosso di Fiorentina-Cagliari erano pervasi da un'altra attesa, peraltro capace di superare anche i confini del tifo viola: quale accoglienza riserverà il Franchi, con tanto di Curva Fiesole di ritorno allo stadio, al giovane attaccante serbo protagonista del gran rifiuto?

Si fa presto a parlare di silenziosa indifferenza, sarebbe semplice se il tifoso fosse un robot e se realmente vedesse solo la maglia (non chi c'è dentro) ma già l'ingresso in campo delle squadre ha raccontato di umori e sentimenti da gestire, col sottofondo di un brusio, niente di troppo rumoroso ma abbastanza presente da farsi sentire.

Di fronte a una contestazione si fa presto poi a capire da quale parte della barricata mettersi, il Franchi però viveva qualcosa di diverso, di ambiguo, tanto da concedere un curioso contraltare di fischi e applausi a dir poco timidi, provando a dire "sì, ci sei ma noi non siamo qui per celebrare te". E non dev'essere mica facile farlo capire da una curva o da una tribuna.

Dusan Vlahovic
Dusan Vlahovic / Gabriele Maltinti/GettyImages

Il mercato è di rigore

Che la situazione fosse sospesa e di difficile lettura era già chiaro ma, come indice ancor più palese e momento catartico, il rigore concesso per mano di Keita ha permesso a tutti di voltare lo sguardo proprio verso Vlahovic. Il serbo che prende il pallone e lo piazza sul dischetto, per poi far partire il suo sinistro e scoprire così se una settimana pesante ne ha intaccato la freddezza: questa la previsione, smentita nell'arco di pochi istanti.

L'attaccante non si è avventato con decisione verso l'area, prendendo il pallone sotto braccio con tutta la voglia di buttarlo in rete, ma è rimasto fuori area con sguardo quasi intimidito, confrontandosi in particolare con un Nico Gonzalez che (da portatore sano di garra) sembrava quasi intimargli di andare e di calciare, senza remore, senza lasciare l'incombenza a capitan Biraghi.

Una situazione spiegata poi diversamente dallo stesso Biraghi e Italiano come una normale dinamica, come un "chi se la sente tira" e non come un momento emblematico, particolare. Certo è che nei secondi antecedenti il rigore c'era tutto di questa ambiguità, c'erano ombre e timori, persino spifferi di mercato sempre incombenti, il dubbio e il sospetto insinuati in mezzo alla passione.

I tifosi viola
I tifosi viola / KONTROLAB/GettyImages

Applausi per Dusan

Parlare di un Vlahovic intimorito e distratto sarebbe però distante da una rappresentazione di quel che si è visto al Franchi, ingeneroso rispetto alla realtà dei fatti.

Il racconto della partita infatti ci consegna un Vlahovic affatto egoista, tutt'altro, un giocatore capace di giocare come parte integrante del gruppo e di dialogare con qualità coi compagni: lo stop e il lancio sulla corsa di Saponara, avviando l'azione del 2-0, hanno in sé tanto di questo approccio mostrato dal serbo, pronto anche in occasione del rigore tanto chiacchierato a esultare con veemenza al gol del suo capitano, a festeggiare come parte di una squadra e non come un oggetto avulso dal contesto.

Coesione del gruppo e solidità dei rapporti emerse poi ancor più chiaramente nell'esultanza per il 3-0, un sinistro direttamente su punizione che ha lasciato tutti a bocca aperta: Vlahovic non ha cercato l'abbraccio dei tifosi ma si è diretto con decisione verso la panchina, raccogliendo pacche e abbracci della squadra e dello staff, come a voler spegnere ogni potenziale voce di ruggini o malumori. Abnegazione e professionalità, insieme alla nota qualità, saranno a questo punto il lasciapassare per vivere quanto più possibile in modo indolore mesi da potenziali separati in casa.

Dusan Vlahovic
Esultanza dopo il 3-0 / Gabriele Maltinti/GettyImages

Sul filo

Non si può nascondere che nel pomeriggio surreale di Vlahovic al Franchi anche il futuro abbia reclamato uno spazio: c'è chi si figura il serbo già con una maglia a strisce, non è stato casuale il coro "chi non salta è bianconero" partito dalla Fiesole, ed è evidente che simili presupposti non permettano di dormire sonni tranquilli.

Di fatto il rapporto tra il popolo viola e Vlahovic procede passo dopo passo su un filo sottile, tra l'estasi di un gran sinistro scagliato in porta e il dolore di un addio a suon di milioni, un filo che - giornata dopo giornata - potrà farsi più sottile o rompersi qualora il rendimento non fosse di eccellenza. Vlahovic ha le spalle larghe e tutto il talento di questo mondo ma i rischi, lo vedono tutti, rimangono dietro l'angolo.


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