Elogio di Franck Ribery: perché un ragazzino italiano voleva la maglia della Francia?
Il 9 luglio del 2006 l'Italia alzava al cielo la Coppa del Mondo, un momento entrato nella storia e nella memoria di una Nazione: abbraccio di chi sa unirsi nelle difficoltà, tirando fuori risorse inattese. Gli occhi di tutti erano sugli azzurri ma gli occhi di qualcuno erano attratti da uno dei Bleus. Aveva sulle spalle il numero 22, in quel Mondiale, e possedeva il fascino di un antieroe perfetto per il mondo del pallone. Come giustificare la passione per quel giocatore "azzurro" che, quella sera, giocava dalla...parte sbagliata? I dribbling e le giocate sul campo erano l'eco di una storia personale peculiare, di un bambino abbandonato dai genitori naturali e poi, a soli due anni, rimasto sfigurato in un terribile incidente stradale. I piedi di un fuoriclasse sostenevano una storia pesante, ingombrante, difficile da nascondere.
Quella storia si è tradotta in abnegazione, nella forza di volontà e nella dedizione nel lavoro: tracce ancora oggi visibili nel quotidiano, in ogni singolo allenamento di Franck Ribery. Quel ragazzino sognava la maglia della Francia, proprio nell'anno in cui l'Italia alzava al cielo la Coppa del Mondo. Un desiderio complesso da giustificare. E le giocate con la maglia dell'Olympique Marsiglia non erano tutto: una pubblicità della Nike, datata 2009, vedeva Ribery allenarsi nel bosco e trovarsi faccia a faccia con un cerbiatto: "Bu!", faceva il francese, causando la fuga dell'animale. La capacità di prendere un limite e farne un punto di forza completava, così, il quadro di un campione.
Il resto, come si dice spesso, è storia: una storia fondamentale per lo stesso Ribery, capace di trovare a Monaco la realtà ideale in cui esaltarsi, in mezzo ad altri campioni, e in cui sentirsi "a casa". I numeri parlano di un totale di 425 presenze e 124 gol con la maglia del Bayern, ma c'è tanto altro: ci sono i trofei, gli assist illuminanti e, come detto, il legame profondo con la città di Monaco. C'è anche un Pallone d'Oro sfiorato, quello del 2013: un'annata da protagonista, vissuta vincendo tutto, non culminò nel premio individuale. Una beffa che Ribery non ha mai dimenticato.
Tornando alla maglia della Francia: come giustificarla? Grazie a una serie di circostanze, di casualità, che da quel blu lì hanno finito per tingersi di viola. Una nuova proprietà desiderosa di accattivarsi le simpatie del popolo della Fiorentina, un campione avanti con gli anni in scadenza, una moglie che ama Firenze. Un'alchimia di situazioni che cancella la necessità di giustificare il desiderio di un ragazzo italiano di vestire una maglia "nemica", adesso che la maglia è diventata quella propria, quella della Fiorentina.
Nella consapevolezza che tutte le cose belle hanno una fine, e più sono belle più si rimpiangono, si tenta di fissare negli occhi ogni singolo lancio millimetrico a smarcare i giovani compagni davanti alla porta. Un po' come Cantona in Il mio amico Eric: "La mia azione migliore non è mai stato un gol, ma un assist". Il piacere di regalare agli altri qualcosa, di confezionare un dono pronto a tradursi in gol: una realtà a cui arrivano solo pochi uomini, pochi fuoriclasse, destinati a lasciare un segno profondo e a raccogliere applausi anche dagli avversari.
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