ESCLUSIVA 90min | Stefano Fiore: "Zola e Veron i più forti, Crespo mi ha sorpreso. Alla Lazio i miei anni migliori"

DFB-All-Stars v Azzurri Legends - Friendly Match
DFB-All-Stars v Azzurri Legends - Friendly Match / Emilio Andreoli/Getty Images
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90min ha ottenuto in esclusiva un'intervista con Stefano Fiore nella quale l'ex Lazio ha parlato della situazione attuale, del suo trascorso come giocatore e dei suoi progetti per il futuro.

Come stai vivendo questa quarantena?

"Senza dubbio questa è una situazione eccezionale senza precedenti che nessuno poteva prevedere, sopratutto in relazione alle conseguenze che sta avendo al momento ed a quelle che avrà in futuro. La situazione è drammatica perché, ahimè, ci sono tante persone che hanno perso familiari, parenti e persone care, inoltre tante altre stanno vivendo una situazione precaria e non sanno quello che sarà il loro destino.

C'è da augurarsi che questa situazione possa, non dico proprio finire, ma che almeno si possa riprendere verso una sorta di normalità. Questo è un periodo difficile che ci sta mettendo tutti alla prova. Io credo che ognuno di noi, chi più fortunato chi meno, ne uscirà diverso da questa situazione, perché inevitabilmente questi momenti in cui abbiamo passato tanto tempo con noi stessi ci daranno modo di vedere la vita futura in un altra prospettiva. Probabilmente dovremmo cercare di riflettere tutti su quello che sarà il nostro futuro non solo da un punto di vista lavorativo ma anche sociale perché questo è un problema che abbraccia tutte le categorie e tutto il mondo. Speriamo quindi che tutti riusciremo a fare tesoro di questa brutta esperienza e cercheremo di vivere in un mondo migliore in futuro".

Stefano, tu sei stato collaboratore tecnico di Massimo Oddo a Perugia, cosa ti sei portato da questa esperienza e quali sono le differenze tra le dinamiche che si vivono facendo parte di uno staff tecnico rispetto a quelle che si vivono da calciatore?

"Questa da collaboratore, per me è stata la prima esperienza in generale in quanto avevo appena finito i corsi e non avevo alcuno modo di iniziare alcuna esperienza da allenatore. Questa è stata una opportunità che ho colto al volo, innanzitutto perché avevo voglia di rientrare nel mondo del calcio dal quale ero rimasto fuori da un po' tempo, poi perché volevo fortemente tornare sul campo. Fino ad allora avevo avuto solo un'esperienza da direttore sportivo a Cosenza e fare il dirigente è molto diverso da fare il collaboratore dove sei a contatto sia con lo staff tecnico che i giocatori ogni giorno. Questo per me è stato come un mondo nuovo, un'esperienza che mi ha fatto molto bene e mi ha arricchito notevolmente.

Poi, sai, da collaboratore hai anche modo di sviluppare un rapporto particolare con i giocatori perché se l'allenatore da una parte ha molte responsabilità ed è una figura centrale io dall'altra facevo un po' da cuscinetto mediando tra staff tecnico e giocatori. Questo mi riusciva relativamente semplice perché riuscivo a capire molto bene le esigenze ed il linguaggio del corpo dei giocatori, in più, avendo smesso da poco ero in sostanza uno di loro e quindi finiva che filtravo molte cose come per esempio gli sfoghi di chi non giocava. Allo stesso tempo però ho avuto anche modo di aiutare e lavorare con un allenatore cosa che mi ha insegnato molto. In generale è stata un'esperienza che mi ha dato modo di vedere le cose da un altro punto di vista e questo è stato un gran bene perché quello del calcio è un mondo dove c'è sempre da imparare. Mi è dispiaciuto molto dover interrompere perché si stava facendo tutto sommato un discreto lavoro però al di là di tutto è stata un'esperienza positiva che sono contento di aver vissuto".

Iniziamo a ripercorrere la tua carriera da sogno: due Coppe Uefa, due Coppe Italia, un'esperienza all'estero con il Valencia, due Europei con la Nazionale, se dovessi scegliere un momento unico sopra tutti gli altri quale sarebbe?

"Le vittorie sono ovviamente quelle cose che ti lasciano un ricordo particolare che anche a distanza di tempo ti regala le emozioni più belle, io ho iniziato forte perché il primo trofeo l'ho vinto nel 1995 con il Parma quando avevo 19 anni e questa non è certo una cosa da trascurare, se dovessi però scegliere un momento in particolare ti direi il goal all'Europeo del 2000 con la nazionale contro il Belgio. Questo perché il sogno più grande di tutti quelli che cominciano a giocare a calcio è quello di riuscire ad indossare la maglia della nazionale. Io nella mia carriera ho avuto questo privilegio ed in più ho avuto anche la grande fortuna di essere riuscito addirittura a segnare un goal con la maglia della nazionale. Per questo se dovessi proprio dire un momento in particolare direi quello".

Da appassionato ed amante del calcio che da bambino aveva il sogno di giocare con la maglia azzurra non posso che fare una riflessione; arrivi ad essere chiamato in nazionale, scendi in campo agli Europei e riesci a fare goal su sponda di Filippo Inzaghi (chiediamo a Simone Barone se sia una cosa semplice), deve essere davvero un momento memorabile.

"Sì, sopratutto perché sono stato tra quei pochi 3 o 4 ai quali Inzaghi ha effettivamente restituito la palla quindi c'è da esserne più che contenti contenti (ride, ndr). Poi è chiaro che quando uno inizia ha sogni molto più modesti, quando ho iniziato io non pensavo affatto di riuscire ad arrivare in Nazionale, speravo solo di poter giocare per il Cosenza, quello era per me il massimo. Però man mano questo sogno lo puoi sempre alimentare e visto che non costa niente sognare puoi anche cominciare ad immaginare di arrivare in cima, però credo che raggiungere la nazionale sia il massimo per ogni calciatore, per questo motivo, ripeto, ho citato proprio quell'esempio".

Stefano Fiore
Stefano Fiore / Shaun Botterill/Getty Images

Escludendo quello con la Nazionale, se dovessimo scegliere un goal segnato con i club al quale sei particolarmente affezionato, quale sarebbe? Qualche gol realizzato ai tempi della Lazio?

"Beh, ovviamente la Lazio ha rappresentato l'apice della mia carriera. Senza dubbio è stata a squadra più importante dove ho giocato e dove sarei voluto rimanere per più tempo e che però, purtroppo, per vari motivi ho dovuto lasciare. Lì ho vissuto i migliori anni della mia carriera ed ho tanti bei ricordi di quel periodo, come quello del goal segnato in finale contro la Juve, quindi qualche goal significativo che ho segnato in biancoceleste me lo porto dentro da sempre. Se però devo proprio sceglierne uno la mia scelta non ricade su uno particolarmente spettacolare ma sul goal che ho segnato in Serie C contro la SPAL. Il motivo è che 3 giorni prima era nata mia figlia e la rete la dedicai a lei, ha quindi un valore simbolico ed affettivo che ricordo sempre con grande piacere. Ricordo che sotto la divisa avevo anche la maglietta con la dedica come si faceva al tempo e sono, per fortuna, riuscito a farla vedere".

Roma, tu lo sai bene, è una città particolare che vive il calcio come fosse una religione. Tu sei riuscito anche a centrare l'obiettivo di andare a rete nel derby contro la Roma nella stagione 2002-2003. Considerando anche il fatto che, se non sbaglio, tu stavi sotto la Curva Nord quando hai segnato, cosa prova giocatore quando fa goal nel Derby della Capitale?

"Onestamente, a ricordarlo mi viene la pelle d'oca, è un sogno che diventa realtà. Ci sono partite che ti danno emozioni che non si possono descrivere a parole e che dovresti poter avere la fortuna di viverle per poter capire. Io oltre alla fortuna di viverle ho avuto anche il grandissimo privilegio di essere riuscito a segnare in una di queste ed è una cosa indescrivibile. Devo dire la verità, il goal è stato assolutamente casuale, ho creduto ad una follia di Jonathan Zebina, ci ho provato e mi è andata bene. Certamente non è tra i più belli che ho fatto in carriera però mi ha dato una scarica di adrenalina pazzesca, ho fatto una corsa fin sotto alla Curva Nord non pensando a nulla e non capendo neanche più quello che stavo facendo, volevo solo esprimere tutta la gioia e l'emozione che provavo. Il Derby di Roma non ha eguali, purtroppo non ho il metro di paragone perché non ho avuto la fortuna di giocarne altri altrettanto importanti, però quello della capitale è molto particolare. In quegli anni poi era sentito ancora di più perché le due squadre a cavallo del 2000 hanno vinto due scudetti e lottavano spesso per il vertice. In conclusione, ho un ricordo bellissimo, del goal magari no ma dell'azione e delle emozioni successive sicuramente sì".

Qual è il giocatore più forte con cui hai giocato? E quello più forte che hai affrontato? Qual è invece un giocatore che ti ha sorpreso?

"Allora, ci vorrebbe un po' di tempo per rispondere ma ci provo lo stesso, il più forte con cui ho giocato direi Juan Sebastian Veron per caratteristiche e ruolo. A Parma abbiamo giocato spesso insieme, è un giocatore straordinario dal quale ho cercato di prendere più possibile. Ricordo anche volentieri Gianfranco Zola, lo cito perché lui era un campione assoluto, magari non è stato tanto pubblicizzato perché era (ed è) un ragazzo un po' timido ed introverso però era un giocatore di una qualità incredibile. Certo, Veron era un centrocampista diverso, più simile a me nel senso che poteva giocare un po' ovunque a centrocampo mentre Zola giocava seconda punta o trequartista. Come avversario ti dico Ronaldo - il brasiliano, non ho fatto in tempo a giocare con il portoghese - perché era un giocatore incredibile e quando era sano era proprio illegale.

Uno che mi ha sorpreso (dire che non me l'aspettavo è eccessivo) è Hernan Crespo. Non so se ricorderai, ma il suo arrivo al Parma non fu dei migliori nei primi due anni fece solo circa 10-11 goal, in più era un giocatore che faceva fatica a segnare e che sbagliava tanto, non dico che fosse fischiato, per carità, però all'inizio sembrava l'anello debole di quel Parma. Ancelotti invece disse a tutti che stavano sbagliando, che dovevano dargli tempo e che era fortissimo, poi negli anni successivi ho avuto la fortuna di giocarci insieme sia al Parma che alla Lazio ed effettivamente aveva ragione Carletto".

Stefano Fiore
FC Parma Celebrate 100 years Anniversary / Marco Luzzani/Getty Images

Dopo la Lazio hai avuto un'esperienza all'estero, anzi una semi-esperienza all'estero diciamo, perché eravate tu, Bernardo Corradi, Marco Di Vaio, Emiliano Moretti, Amedeo Carboni e Claudio Ranieri in panchina, che ricordi hai di quel Valencia?

"La squadra era molto forte, l'anno prima aveva vinto Coppa del Re e campionato, purtroppo però io non ho un grandissimo ricordo di quel periodo dal punto di vista calcistico. Ranieri voleva cambiare faccia a quella squadra perché secondo lui era finito il ciclo, infatti arrivammo in 4 e la sua idea era quella di inserirci in una squadra molto unita e molto forte, questo progetto così ambizioso e forse anche un po' presuntuoso fallì miseramente perché non solo non riuscimmo ad inserirci ma addirittura la cosa ci penalizzò oltre modo, a me personalmente costò anche la nazionale. Io iniziai infatti le qualificazioni che ci avrebbero portato al Mondiale 2006 con Marcello Lippi e le giocai tutte da titolare ma con i problemi che cominciai ad avere a Valencia giocando poco anche il mio impiego in nazionali diminuì.

Per me non fu un anno da ricordare dal punto di vista calcistico, certo, qualcosina di buono l'ho fatto, per esempio un goal al Camp Nou che ricordo ancora volentieri, però per il resto non fu un anno molto positivo. Ho molti rimpianti, primo perché la squadra era molto forte e secondo perché il calcio spagnolo per caratteristiche mi si addiceva parecchio solo che, ahimè, non fu cosa e poi non legai con Ranieri, cosa che può succede nel nostro lavoro. Peccato però perché sarei voluto rimanere anche lì più tempo e la Spagna è un paese meraviglioso, molto simile al nostro. Il suo calcio è bellissimo e si vive con molta meno ansia e pressione rispetto all'Italia".

Valencia's Italian Marco Di Vaio (2ndR)
Valencia's Italian Marco Di Vaio (2ndR) / JOSE JORDAN/Getty Images

Rimanendo in tema Spagna, nel campionato spagnolo c'è una anomalia diciamo, l'Atletico Madrid di Diego Simeone, che gioca molto all'italiana, te lo aspettavi tu quando giocavate che Simeone potesse diventare allenatore e sopratutto ti aspettavi che diventasse questo tipo di allenatore?

"Allora, beh, che lui l'avesse nel DNA di fare l'allenatore sì, lo sapevo, perché era uno che non stava zitto un attimo anche quando giocava, era uno che continuamente ti diceva nell'orecchio "vai di qua, vai di la, fai questo, fai quello", era, in sostanza, allenatore già quando giocava. Se devo dirti la verità se da una parte non mi aspettavo che ottenesse questi grandi successi che ha ottenuto dall'altra mi aspettavo che potesse essere esattamente questo tipo di allenatore, perché lui è questo, è vero, le sue squadre non giocheranno mai un calcio straordinario, però negli ultimi anni ha tenuto testa a Barcellona e Real Madrid in maniera incredibile. Questa è la testimonianza fedele del fatto che il calcio è uno sport incredibile proprio per questo, perché esistono tanti stili di gioco diversi ma non esiste un solo modo di vincere, lui è riuscito ad avere successo in una maniera magari non molto esaltante ma con un grande spirito e con grande determinazione. Dal punto di vista tattico lui fa un 4-4-2 abbastanza scolastico il problema è che fai fatica a tirargli in porta perché è una squadra che ti pressa in tutte le zone del campo, perché non è vero che si difende e basta, anzi, in alcuni anni riusciva a mettere in difficolta il Barcellona andando a pressare molto alto. Simeone è un allenatore super preparato che ha le sue credenze particolari in un certo tipo di calcio, l'Atletico gli deve tantissimo perché lui li ha portati due volte in finale di Champions League e li ha resi la terza forza del campionato spagnolo molto vicina alle prime due".

Tu hai giocato con Hernan Crespo, con Claudio Lopez e con Luca Toni tra tanti altri, per un centrocampista come cambia la dinamica di gioco in relazione all'attaccante che si trova davanti? Queste sono dinamiche che si lavorano quotidianamente in allenamento o si parla e gli attaccanti essendo le star della squadra hanno un determinato tipo di esigenze a cui bisogna andare incontro?

"No beh, certe cose nascono automaticamente, io parlo sempre di "chimica", ci sono delle coppie, per esempio Lautaro Martinez e Romelu Lukaku o Luis Alberto e Ciro Immobile che sono giocatori che parlano la stessa lingua, basta che si guardano e capiscono bene il movimento l'uno dell'altro, come il compagno vuole la palla e come devi servirlo con precisione. Poi l'allenatore deve essere bravo a non mettere troppo becco in queste cose, cioè, se si rende conto che ha giocatori che vanno anche da soli è inutile dare troppe istruzioni, son cose che a certi giocatori non servono perché si parlano e si capiscono già fra di loro. Quello che cambia sono le caratteristiche individuali, che però un giocatore intelligente deve capire da solo, Toni, ad esempio, dovevi servirlo sui piedi per via di quella sua andatura e mobilità particolare, poi però una volta che aveva la palla addosso in area era una sentenza perché essendo un attaccante molto grosso, seppur non straordinario dal punto di vista tecnico, sapeva coprire cosi bene la palla che tu da difensore non riuscivi ad anticiparlo ed era una sentenza.

Crespo invece era un giocatore con cui potevi dialogare dal punto di vista tecnico perché era un attaccante che aveva i piedi da centrocampista, quasi un rifinitore. Poi ho avuto la fortuna di giocare con tanti attaccanti, tutti bravi, Lopez, che tu hai citato, per esempio, era uno a cui non potevi dare la palla addosso perché non avendo un grande controllo di palla spesso veniva anticipato, bastava però mettergliela alle spalle dei difensori e lui, anche se aveva 5 metri di ritardo, li recuperava perché aveva una velocità impressionante. Quindi, ecco, chi ha la fortuna di avere giocatori intelligenti deve non far danni e lasciarli fare perché tra giocatori di un certo livello e spessore tecnico ci si capisce al volo".

Stefano Fiore
Serie A - Fiorentina v Sampdoria / New Press/Getty Images

Un altro attaccante con cui hai giocato è Simone Inzaghi, stessa cosa che per Simeone, ti chiedo, ti aspettavi questo allenatore?

"Mah, ti dico di no e secondo me se lo chiedi a lui ti dirà la stessa cosa, sta bruciando le tappe sta diventando un allenatore importante in brevissimo tempo. La sua storia è particolare, stava andando a Salerno perché la Lazio aveva scelto Marcelo Bielsa come allenatore poi salta tutto e lui si ritrova allenatore dei biancocelesti per caso. Poi certo, è stato bravo a cavalcare questo piccolo colpo di fortuna. Inoltre, lui è introdotto bene nell'ambiente, avendo speso tanti anni lì da giocatore ed allenatore della primavera e quindi conosceva bene la società.

Inzaghi è stato in gamba, ha saputo cogliere il momento e metterci del suo perché questa Lazio soprattutto nella stagione attuale ha tanto di Simone, per esempio, mettere Luis Alberto tra i centrocampisti e togliere Marco Parolo è stata una sua idea. La squadra è cresciuta in maniera enorme e se riprenderà il campionato cosa che ci auguriamo sono certo che andrà fino in fondo per la lotta scudetto".

Se dovessi scegliere una squadra della Liga con cui giocare, quale sarebbe?

"Non ho una squadra in particolare, per quello che ho visto io è la filosofia di gioco quello che conta, la Spagna in generale è un paese bellissimo, si sta da Dio, il calcio poi oltre che bello si vive in maniera speciale, si ama veramente quello che si fa senza particolari pressioni. Se proprio te ne devo dire una squadra andrei verso le Canarie, il Las Palmas... così magari dopo aver finito di allenare mi posso rilassare".

Parliamo di futuro. Cosa ti aspetti, hai progetti, ambizioni o cose che vuoi fare una volta che si rimetterà tutto in moto?

"Io in questo momento ho sposato il progetto di Massimo (Oddo, ndr) quindi non vedo l'ora di rimettermi in pista. L'esperienza fatta mi è piaciuta e ritengo di dover fare ancora un certo tipo di percorso prima di poter andare da solo. Con lui mi sono trovato molto bene, siamo molto affiatati, c'è uno staff molto giovane e di grande prospettiva con figure professionali importanti. Siamo un bel gruppo e l'idea è quella di continuare con questo team sperando di poter riprendere al più presto, poi vedremo, magari ci sarà spazio anche per andare da solo in futuro ma per il momento va bene cosi".

Stefano Fiore
Stefano Fiore / Gary M. Prior/Getty Images

Qual è il tuo consiglio per un ragazzo che oggi prende la borsa e si iscrive ad una scuola calcio?

"Il primo è di farsi lasciare fuori dal centro sportivo (dai genitori, ndr) ed entrare da solo. Dopo di che fare quello che è chiamato a fare con grande passione ma sopratutto divertendosi. Fino ad una certa età il concetto che deve passare ai ragazzi è il divertimento, il calcio è la cosa più bella del mondo e va fatta con il sorriso, ovviamente sempre con grande impegno e rispetto per tutti perché il calcio è una palestra di vita, di educazione, di rispetto delle regole, l'idea iniziale deve essere questa senza troppe illusioni, tipo di giocare in Serie A con stadi pieni anche perché se no si creano troppe aspettative che sono spesso deluse e creano ulteriori problemi. Viviamo in un mondo complicato e difficile, quindi è giusto che i nostri figli siano consapevoli che la strada è lunga e tortuosa ma se un ragazzo arriverà a giocare lo farà perché lo deve fare non perché glielo impone qualcuno. Il consiglio è di fare il proprio percorso da soli, i genitori devono essere di supporto ma non devono, in nessun modo, essere troppo invadenti. Oggi ne vedo tanti che seguono il percorso del figlio in maniera errata, quindi il consiglio che darei, più ai genitori che al ragazzo, è quello di metterlo nelle migliori condizioni possibili ma di lasciargli fare il suo percorso".

Segui ancora l'Udinese? Cosa ne pensi di Ignacio "Nacho" Pussetto?

"La Lazio è stata la squadra più importante ma la svolta della mia carriera è stata ad Udine, lì sono diventato un giocatore importante. L'Udinese è stata la prima vera squadra che ha deciso di puntare su di me, che mi ha dato la possibilità di arrivare in nazionale, in generale ho un grande ricordo di Udine e dei friulani. Quelli che ho passato lì sono stati due anni splendidi e per questo ho sempre seguito con grande simpatia la società. L'Udinese è una squadra, una società totalmente diversa rispetto a qualche anno fa quando ha raggiunto risultati straordinari perché diciamocelo, l'Udinese che fa la Champions League ha dell'incredibile e tanti lo hanno dimenticato.

Oggi è una realtà diversa con giocatori diversi tra i quali c'è anche qualche talento. A me Pussetto non dispiace, è un giocatore che sicuramente deve ancora formarsi completamente ma possiede una buonissima tecnica e ha una grandissima prospettiva. A parer mio deve essere "centrato", nel senso che non ha ancora un ruolo ben definito, però il fatto che i Pozzo se lo siano portato al Watford potrebbe voler dire che magari gli vogliono dare un occhio più da vicino perché è, senza dubbio, tra i giocatori più interessanti che ha l'Udinese.

La diretta completa dell'intervista a Stefano Fiore

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Ripercorriamo insieme la carriera di Stefano Fiore e del giramondo del pallone Simone Quintieri

Pubblicato da 90min su Mercoledì 6 maggio 2020

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