Figlio di una madre difficile: Venuti e una forma diversa di vittoria
Da mesi l'epilogo appariva scontato, l'unico possibile, e le lacrime sotto la Fiesole dopo Fiorentina-Roma lo hanno certificato: Lorenzo Venuti si svincolerà dalla Fiorentina in estate e interromperà dunque il proprio rapporto col club viola dopo quasi 20 anni (arrivò infatti nell'universo gigliato ad appena 9 anni, nel 2004).
Un legame duraturo che rappresenta senz'altro un'eccezione, un legame che trascende il mero discorso contrattuale e che si collega in toto all'identità di Venuti, al suo essere viola anche a prescindere dal campo. Un intreccio tra vita professionale e identità che si traduce del resto nel concetto "uno di noi", che si riflette in quegli striscioni apparsi in Curva al momento dei saluti, dopo l'ultima partita casalinga dei viola per questa stagione.
Quello sguardo più severo
Un concetto spesso abusato ma che, in un simile frangente, appare lontano dalla retorica e dalla forzatura: letteralmente, prima ancora di ogni valutazione di campo, Venuti ha semplicemente vissuto il privilegio (raro) di essere professionista a casa propria e di arrivare a farlo (dal 2019 al 2023) non solo da eterno girovago, da abbonato ai prestiti come condizione esistenziale, ma finalmente da elemento integrato nella rosa della prima squadra, della sua squadra.
Riferendoci poi a una realtà come quella viola, in cui raramente si sono visti profeti in patria che riuscissero a lasciare un segno duraturo, diventa ancor più evidente il peso specifico di quelle 99 presenze, ancor più forte l'eco di ogni minuto vissuto sul campo. Esistono contesti sportivi differenti, senz'altro come eccezione più che come regola, in cui si nota un filo identitario più saldo che lega popolo e campo, che connette fede ed espressione sportiva: l'esempio della Roma in tal senso reclama uno spazio, rendendo più comune la possibilità di essere al contempo simboli e professionisti, di tenere legati DNA e carriera.
A Firenze accade qualcosa di diverso e non da oggi: la ricerca di un'ipotetica Violitudine, com'è stata definita, si scontra con un oceano di contraddizioni, di aspettative, con l'occhio severo di un padre o di una madre che si aspettano sempre qualcosa di più, che non si fanno bastare le questioni di cuore. Ecco dunque che da figliol prodigo si diventa capro espiatorio, che da figlio si diventa intruso, ecco che i mugugni iniziano a farsi largo e scrivono pagine diverse, non più da libro Cuore ma più crude, più dure. E lo fanno, ancor di più, quando la comunicazione passa dalla tastiera allo schermo, quando non è più veicolata dalla responsabilità di metterci la faccia.
Lasciando un segno
Si tratta di scenari complessi che affondano le radici nel passato, che non si scoprono certo oggi e che vanno al di là di questi 4 anni vissuti da elemento della prima squadra: esiste tutto un percorso che racconta il peso di una promessa che per concretizzarsi chiede tempo, di un'attesa che non trova un premio. Come spesso accade in questi casi la dimensione del prestito e della conseguente attesa diventa quasi fisiologica, diventa un rito di passaggio necessario per dimostrare di "essere abbastanza".
Un percorso a ostacoli che, il più delle volte, sfocia in un niente di fatto o che si concretizza in sporadiche presenze, spezzoni di partita che sanno di sogno agrodolce e con le valigie già fatte, per andarsene definitivamente. Non in questo caso, non nel caso di Venuti: la vittoria di Lollo, quella di cui lui stesso ha parlato nel suo congedo social, diventa dunque una storia scritta insieme, diventa la consapevolezza di aver saputo sostenere lo sguardo scomodo di quella madre e di quel padre, tappandosi le orecchie quando serviva e cogliendo del buono tra le righe.
Quell'autogol che decise l'andata della semifinale di Coppa Italia con la Juventus, al Franchi, portava già in sé tutto questo: delusione, groppo in gola, rabbia, abbracci consolatori o gente che si volta altrove e finge di non conoscerti. Nella vittoria di Venuti c'è anche e soprattutto quella tappa, per quanto paradossale sembri, per quanto lontano tutto ciò possa apparire dalle logiche dello sport professionistico. Non si tratta di consolare con le armi della retorica, si tratta di capire una diversa grammatica del successo, una diversa (ma non meno reale) forma di trionfo.