Il centrocampo di Italiano: non solo Torreira, la rivoluzione va oltre ai nomi
Il ruolo nevralgico del centrocampo nel calcio è stato spesso oggetto di discussione, talvolta anche in toni eccessivamente enfatici, ma rimane difficilmente eludibile l'idea secondo cui una linea mediana di qualità, con elementi complementari e ben integrati, possa davvero fare la differenza e dare una spinta all'intera squadra. Per certi versi nel centrocampo si può riflettere in modo evidente il cervello del tecnico, là si possono esprimere in modo più visibile quelle richieste che l'allenatore porta al gruppo.
Un rapporto privilegiato
Del resto è complesso immaginare un allenatore che predica un calcio fatto di possesso e di scambi rapidi avere a disposizione solo mediani vecchio stampo o giocatori statici, con altre qualità rispetto a quelle richieste. Al contempo è difficile pensare a una squadra chiamata dal tecnico a giocare sempre col coltello tra i denti, a caccia di punti per raggiungere l'obiettivo salvezza, puntare su una mediana tutta tecnica e creatività, con tocchi di fino e giocate più ricercate. E chi meglio di un ex centrocampista, qual è Vincenzo Italiano, può farsi portatore del rapporto privilegiato tra il centrocampo e le idee di un tecnico? Nella stessa tesi presentata dall'attuale tecnico della Fiorentina a Coverciano, "Passaggio calciatore-allenatore: cosa ricordare e cosa mettere nel cassetto", Italiano rende chiaro che dal punto di vista privilegiato del costruttore di gioco, da calciatore, riuscì a leggere efficacemente alcune dinamiche di gioco che, altrimenti, gli sarebbero sfuggite.
Bisogno di coerenza
Proprio alla radice della sua evoluzione da centrocampista ad allenatore, dunque, risiede la volontà togliere dal solo regista la responsabilità esclusiva di costruire gioco, andando a responsabilizzare il tal senso anche gli altri interpreti del centrocampo e gli altri reparti (basti pensare al ruolo più che mai attivo e propositivo degli esterni bassi, anche nel suo Spezia 2020/21). Un'alchimia tra un tecnico e il suo centrocampo è dunque vitale e ineludibile per raggiungere risultati soddisfacenti ed esprimere se non altro coerenza, un caso emblematico in questo senso si può ritrovare, restando in orbita viola, nelle differenze tra il primo Montella (2012-2015) e quello del deludente ritorno nel 2019: in un caso, il primo, il centrocampo a disposizione del tecnico rappresentava al meglio la sua impronta, con Pizarro come vero e proprio cervello della squadra e un reparto comunque molto tecnico con Borja Valero e Aquilani (senza scordare Mati Fernandez). Nella sua esperienza successiva in viola la situazione era ben diversa ed è evidente che Pulgar, Castrovilli e Badelj (così come Benassi e Dabo) non potessero dare un contributo assimilabile al precedente.
L'uomo chiave: Lucas Torreira
Tornando a Italiano appare evidente che l'impronta del tecnico non debba passare solo dai nomi: il solo acquisto di Maleh e il ritorno di Benassi non possono chiaramente rappresentare in sé una rivoluzione, ma il passaggio al 4-3-3 e l'utilizzo di due mezzali propositive, tecniche e brave a inserirsi (Bonaventura e Castrovilli/Maleh) risulta comunque un'arma in più rispetto all'approccio più conservativo delle ultime stagioni. La chiave di volta, però, potrebbe racchiudersi nell'arrivo di Lucas Torreira: l'uruguaiano, da ieri a Firenze, può rappresentare l'interprete ideale (insieme alle mezzali prima indicate) di una mediana fatta di giocatori tecnici ma anche dinamici, in grado di allontanare ogni idea di staticità e di non dare troppi riferimenti prevedibili nella costruzione del gioco, sancendo così la reale discontinuità rispetto al recente passato.