La Flop 5 dei peggiori calciatori del ritorno delle semifinali di Champions League
Mister Champions si è arenato. Per il terzo anno consecutivo, Zinedine Zidane ha mancato la qualificazione alla finale della Coppa che lo ha visto, primo e finora unico nella storia, trionfare per tre edizioni di fila, tra il 2016 e il 2018. Dopo due stop agli ottavi, questa volta il Real Madrid si è fermato in semifinale, superato in maniera piuttosto netta dal sorprendente Chelsea. La squadra di Tuchel è sembrata avere quell’entusiasmo e quella freschezza che per forza di cose mancano ai Blancos, arrivati stancamente insieme al proprio allenatore alla fine di un ciclo leggendario.
Cristiano Ronaldo capì per primo che i tempi d’oro erano finiti, Kroos e Modric hanno voluto accompagnare fino alla fine l’era vincente di un club che deve rifondare non solo in campo e che deve accettare il fallimento di Eden Hazard. Nel mirino dell’Uefa dopo il caos Superlega, per i Merengues l’eliminazione sa allora di nemesi, visto quanto strano può sembrare il fatto che la squadra che ha vinto più Coppe Campioni/Champions della storia abiuri la competizione per abbracciarne un’altra di natura completamente diversa. Altri problemi hanno a Parigi, dove 10 mesi dopo la finale fortunosamente conquistata e persa si è di nuovo a contare i danni economici per il mancato arrivo in finale. Nonostante le stelle di Pochettino non siano certo cadenti come quelle di Zizou…
1. Eden Hazard (Real Madrid)
Il suo recupero dall’ennesimo infortunio della tarda primavera aveva fatto sperare Zidane e tutti gli estimatori del fuoriclasse belga. Il finale di stagione in Liga e in Champions potesse essere la prova generale per un Europeo da protagonista. E invece, pur essendo la resurrezione estiva ancora possibile, vedendo l’asso di La Louviere giocare su questi livelli si tratterebbe di un miracolo. Alla seconda da titolare consecutiva, cosa che in stagione gli era capitata solo in un’occasione, a gennaio, il grande ex della serata trova la nemesi peggiore, non riuscendo neppure a farsi rimpiangere da ex compagni e quei tifosi che ha “tradito” scegliendo di cambiare aria. Delude ancora una volta e in maniera fragorosa. Il dialogo con Benzema, l’unico a crederci in tutta la squadra, è inesistente, gli spunti sono troppo pochi e soprattutto troppo poco convinti e in generale il mood messo in campo è quello del giocatore rassegnato ad un fallimento che non ha solo ragioni fisiche. Acquistato di fatto per sostituire Ronaldo, non solo per il numero di maglia indossato, il fatto che diversi compagni siano al declino anagrafico è un alibi molto debole. Il futuro è un enigma: difficile pensare che i sorrisi con gli ex compagni a fine partita siano il preludio ad un ritorno…
2. Mauro Icardi (Paris Saint-Germain)
Nelle ore in cui l’Inter festeggia quello scudetto al quale l’ex capitano nerazzurro non è mai neppure andato vicino, la sagoma malinconica dell’argentino che vaga per il campo all’Etihad pone doverosi interrogativi sul proseguimento della carriera di un giocatore di 28 anni compiuti e valutato quasi 60 milioni dal Psg solo pochi mesi fa, dopo una prima stagione francese esaltante solo in avvio. La sua prova del tutto abulica è troppo simile a quelle offerte in numerose partite importanti della storia dell’Inter: mai nel vivo del gioco, poco coinvolto e poco mobile al punto da sembrare quasi poco motivato, le poche volte in cui prova a duettare con Neymar compie errori tecnici poco giustificabili in un palcoscenico così elevato. Il resto lo fa l’assenza di Mbappé, che fa risaltare il gap di classe tra il campione del mondo e il centravanti, respinto in maniera fragorosa dal calcio di altissimo livello.
3. Toni Kroos (Real Madrid)
Vedere il tedesco e Modric non riuscire ad essere dei fattori contro un avversario di qualità, ma alla portata del Real di un tempo, spinge a fare parecchie riflessioni. Da una parte che il Cristiano Ronaldo di un tempo ha davvero esaltato anche il loro lavoro, dall’altra che il tempo è l’unico nemico che non può essere sconfitto, neppure per chi ha vinto Palloni d’Oro o titoli mondiali. Il croato ci mette almeno qualche giocata di qualità, mentre l’ex Bayern, che quella tecnica non ce l’ha, fa emergere maggiormente l’inizio della propria parabola discendente. Pochi palloni toccati, molti errori, anche senso tattico e dinamismo sono in picchiata. Il fallaccio su Pulisic nel finale rischia di essere qualcosa di simile ad un testamento a questi livelli.
4. Angel Di Maria (Paris Saint-Germain)
Il sogno di vincere la seconda Champions della carriera e di giocare la terza finale, seconda consecutiva dopo quella persa lo scorso agosto, svanisce di fronte alla superiorità del City. L’argentino era stato come quasi sempre accade uno dei meno peggio della truppa di Pochettino, a livello tecnico e di temperamento, pur non riuscendo a dare continuità alla propria pericolosità. A collocarlo tra i peggiori, tuttavia, è la triste reazione del finale di gara su Fernandinho che gli causa l’espulsione diretta e, forse, una squalifica piuttosto lunga. La frustrazione per un traguardo forse non più riavvicinabile è giustificata, ma un giocatore di questa classe ed esperienza ha il dovere di contenere la propria rabbia.
5. Ferland Mendy (Real Madrid)
La scelta di Zidane di affidarsi ancora alla difesa a tre era fondata anche sulla legittima speranza che il "cuginetto" del portiere del Chelsea confezionasse una prestazione coraggiosa da stantuffo sulla sinistra. Niente di tutto questo e il giocatore intraprendente visto contro l’Atalanta è tornato a lasciare spazio a quello timido, pasticcione e tecnicamente mediocre, nonostante lo spazio per attaccare ci sarebbe. Azpilicueta e Chilwell in ripiegamento non devono soffrire per arginarlo, la sostituzione dopo un’ora non cambia la faccia della squadra, ma è inevitabile.
6. Allenatore: Mauricio Pochettino (Paris Saint-Germain)
Le attenuanti ci sono ed essendo non troppo numerose è meglio partire da qui. L’assenza di Mbappé, ovviamente, fumoso all’andata, ma pur sempre devastante contro il Bayern. E una qualità non eccelsa in alcuni ruoli chiave, dal centrocampo alle fasce laterali, risaltata al cospetto di un avversario così forte e nella realtà superiore a livello tecnico in quasi tutti i confronti uomo contro uomo. Detto questo, tuttavia, era lecito aspettarsi di più in una partita in cui la squadra si sarebbe dovuta giocare tutto anche dal punto di vista temperamentale. Il Psg è parso invece credere ben poco fin da subito all’Impresa, mostrando pochissime idee sul come venire a capo di una squadra quasi mai in difficoltà. Poche occasioni e ancor meno inventiva dalla panchina, tra sostituzioni e piani tattici alternativi. Se il paragone con Guardiola, che ha saputo trasformare una raccolta di stelle in un'orchestra, è impietoso pensando al poco tempo che ha avuto a disposizione l'argentino, il suo primo mezzo anno a Parigi è già fallimentare, ancor prima di sapere come finirà la lotta al titolo. E ancor prima di sapere cosa riuscirà a fare il suo predecessore Tuchel, che lo ha appena superato come numero di finali raggiunte in carriera…
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