Garcia-Mazzarri e il doppio standard della perplessità
Da che mondo è mondo si sottolinea quanto un buon inizio possa condizionare in positivo un intero percorso, è altrettanto chiaro d'altro canto quanto partire prevenuti riesca ad aggiungere una dose di pressioni e di ostacoli lungo quella stessa strada. Rudi Garcia lo ha vissuto sulla propria pelle, lo ha fatto fin dai primi passi alla guida del Napoli, trovandosi a fronteggiare perplessità preventive e mugugni sorti a priori (enfatizzati poi dai retroscena su Thiago Motta e sulla lista infinita di alternative).
La vittima designata
Il vuoto lasciato dall'addio di Luciano Spalletti, vero e proprio alchimista di quel sogno chiamato Scudetto, rendeva in sé il successore in panchina una sorta di vittima sacrificale, a prescindere da chi fosse il prescelto. Si è visto in passato quanto, nel contesto partenopeo, il nome in sé non basti ad assicurarsi gloria e credito: il caso di Ancelotti appare lampante a posteriori ed è evidente, dunque, come farsi carico del post-Spalletti fosse di per sé un rischio. A maggior ragione per un nome che non rientrava nella lista dei candidati più desiderati dalla piazza, come quello di Garcia.
Altrettanto chiaro, oggi più che mai, quanto la percezione di Garcia come tecnico del Napoli e quella di Walter Mazzarri - come suo sostituto dopo l'esonero - sia viziata da un doppio standard: valutazioni pretestuose che, mediaticamente, gettano un immeritato discredito sulla figura del francese e premiano preventivamente la scelta di De Laurentiis (questo suo ritorno al passato, questa prematura ricerca di un traghettatore).
Continuità o rivoluzione?
Un doppio standard paradossale per tutta una serie di motivi, innanzitutto di natura tattica. Il presidente partenopeo ha reso chiaro a più riprese quanto la strada della continuità fosse un aspetto prioritario, sulla linea del 4-3-3 di Spalletti: il profilo di Garcia in questo senso apparirebbe più coerente rispetto a quello di Mazzarri, valutandone la storia in panchina e la capacità di adattarsi ai calciatori della rosa attuale.
Il fattore "umano", quell'effetto revival che riporta alla mente un altro Napoli lontano almeno 10 anni, non può dunque spezzare una simile contraddizione. Un nodo critico che da un lato renderebbe forzato il ricorso al 3-4-2-1 o al 3-5-2 (marchi di fabbrica di Mazzarri) e d'altro canto potrebbe costringere l'espero tecnico toscano, come verosimilmente accadrà, a stravolgere quanto raccontato dalla sua carriera fin qui. Passare da chi è abituato al 4-3-3 a chi lo ha sempre ritenuto alieno al proprio credo per ritrovare se stessi: una sorta di ossimoro, di presupposto contraddittorio.
Equilibri precari
Al contempo reclama uno spazio la questione ambientale: da un lato una posizione di Garcia già compromessa da tempo agli occhi della piazza, come capro espiatorio di ogni male, d'altro canto uno spogliatoio apparso spesso meno coeso rispetto al recente passato, all'idillio della scorsa (irripetibile) stagione. Casi mediatici, sostituzioni mal digerite e un clima - almeno mediaticamente - distante da quello costruito da Spalletti nei suoi anni in azzurro.
Mazzarri può essere definito a priori come un equilibratore, come un elemento in grado di attutire quanto emerso fin qui? Difficile sostenerlo, anche considerando l'epilogo concitato della sua ultima avventura a Cagliari, con tanto di strascichi legali e di scontro aperto con squadra e proprietà (con tanto di "licenziamento per giusta causa").
Esistono dunque logiche perplessità che partono dal fronte tattico e abbracciano anche altri aspetti, in questo nuovo colpo di scena targato De Laurentiis: risulta sorprendente quanto il bonus di credito riservato a Mazzarri, a poche ore dalla sua ufficializzazione, superi quello offerto a un Garcia apparso - a più riprese - come vittima sacrificale all'interno di una storia già scritta (una storia di cui, a conti fatti, non è mai potuto diventare il protagonista).