Gioco di prestigio o fumo negli occhi? Mourinho tra risultati e racconto di sé
C'è qualcosa di curiosamente bambinesco nel modo in cui le schermaglie si susseguono e si ripetono nel mondo del pallone, polemiche che preparano il terreno o amare reazioni a giochi ormai conclusi che siano: uno "specchio riflesso" o una linguaccia irridente, in un continuo gioco di provocazione e risposta in cui di fatto si perde di vista il punto d'inizio.
Uno scenario che non deriva certo dall'attualità ma che in questa si rinforza e trova una nuova benzina, basti pensare al modo in cui il dibattito pubblico a tema calcistico - la famosa "piazza" - si trasferisca sui social e da questi mutui linguaggi, modalità e tempistiche.
Un gioco retorico
Il ruolo di comunicatore che appicchiamo da tempo al tecnico di turno, più o meno obiettivamente, diventa così un fattore e c'è chi - come José Mourinho - va a nozze con una simile prospettiva, riuscendo a tradurre quella logica bambinesca in trovate retoriche curiose, inedite e dal sicuro effetto scenico. E un post-partita condotto in portoghese ne rappresenta certo l'esempio efficace. Non più l'invettiva che scappa sull'onda di un episodio, neanche il silenzio di chi vuole chiudersi in sé per struggersi nella delusione, ma veri e propri ribaltamenti di prospettiva telecomandati che generano da un lato venerazione e dall'altro disappunto.
Da un lato insomma la schiera di chi segue l'input di novello Don Chisciotte, dall'altro chi percepisce come totalmente pretestuoso l'atteggiamento da vittima sacrificale, chi lo ritiene mero fumo negli occhi figlio del personaggio (quel personaggio che Sarri, di recente, ha detto di apprezzare "meno della persona"). Al di là della posizione di partenza e della conseguente valutazione si può riconoscere come, nei fatti e nelle reazioni, la strategia retorica del tecnico della Roma colpisca decisamente nel segno e s'imprima come poco altro nel racconto mediatico del pallone, ne tracci inevitabilmente il profilo e ne detti l'agenda.
Costruendo un racconto
Il perseguitato e il persecutore riescono così a mescolarsi, il ruolo della vittima e quello del carnefice si confondo e - a conti fatti - gli strascichi di natura ufficiale (come la notifica della chiusura delle indagini della Procura FICG per le parole su Marcenaro) finiscono per impallidire rispetto alla narrazione che fa da cornice, rispetto al gioco generato dallo stesso Mourinho. L'etica e la morale, del resto, si fanno sommessamente da parte: il terzo anno dello Special One alla Roma dirà tanto sulla natura di questo suo gioco, su quanto sia fumo negli occhi o su quanto sia un sottile gioco di provocazioni supportato dai risultati, funzionale all'epilogo.
Fin qui possiamo certo riconoscere come - al netto del successo il Conference League nel 2021/22 - Mourinho abbia saputo costruire una salda aura protettiva proprio attorno alla comunicazione e al racconto di sé, aspetto che il suo predecessore e connazionale Paulo Fonseca (ad esempio) non riuscì a percorrere o tenne comunque a distanza, per un evidente stile di comunicazione più prudente e conservativo. L'abisso comunicativo, oggi, traccia un solco più profondo dell'abisso sostanziale, quello legato ai risultati ottenuti sul campo. Solo nell'incrocio necessario tra le due parti si potrà costruire una sintesi effettiva del percorso giallorosso di José Mourinho, avvalorando le tesi dei detrattori o rivalutando quelle dei sostenitori.