I fattori chiave di un Bologna formato Champions
Ne hanno parlato in tanti e ne continueranno a parlare. Il Bologna di Thiago Motta illumina la Serie A con un calcio organizzato, i cui principi tattici sono diventati chiari, ma comunque difficilmente arginabili dalle squadre avversarie. Le parole al miele di un De Rossi appena arrivato nel campionato italiano, volte ad esaltare le doti da allenatore di Simone Inzaghi e, proprio di Thiago Motta, o anche quelle di Gasperini a SkySport: "Thiago da giocatore non sbagliava mai un passaggio. Anche la squadra è sempre molto lucida e paziente, mi ricorda molto la sua idea di calcio".
Una squadra a sua immagine e somiglianza, un lavoro cominciato in tempi insospettabili e delicati, dall'avvicendamento con Sinisa Mihajlovic in panchina. Per riavvolgere il nastro fino a quella data, occorre tornare indietro di circa 18 mesi e oltre 60 partite. Il primo Bologna di Thiago Motta aveva diversi interpreti della rosa attuale, ma una consapevolezza opposta a quella di oggi. C'era poco lavoro alle spalle e in quella sfida interna del Dall'Ara contro l'Empoli, Arnautovic e compagni uscivano sconfitti di misura a causa della rete di Bandinelli.
Già, Arnautovic. E non è il solo elemento portante ad aver salutato la città nelle finestre di mercato che ha vissuto la squadra felsinea in questo anno e mezzo. Nicolas Dominguez è volato in Premier League (Nottingham Forest), Jerdy Schouten sta dominando in Olanda con il PSV, Gary Medel si è trasferito in Brasile (Vasco da Gama), Nicola Sansone ha firmato con il Lecce, Roberto Soriano è ancora svincolato, mentre Andrea Cambiaso è diventato una pedina cruciale della Juventus di Allegri e Musah Barrow ha scelto di spostare la sua vita professionale in Arabia Saudita.
Una rivoluzione o quasi. Un cambiamento significativo della rosa che ha permesso agli elementi rimasti di diventare dei muri portanti molto più solidi dei precedenti; che ha permesso agli elementi nuovi di occupare con personalità i le posizioni vacanti e trasformarsi in pochissimo tempo in simboli di un Bologna formato Champions.
I segreti del Bologna
Questo è il contesto, o almeno una parte, quella nota a chiunque. Gli avvicendamenti tra i calciatori del passato e quelli di cui oggi non si può fare a meno. Una squadra che migliora in questo modo permette di dimenticare subito chi c'era prima; Zirkzee ha impiegato un paio di gare a convincere tutti che il vuoto lasciato da Arnautovic aveva un candidato valido per occuparlo e superarne i limiti. Ferguson si è confermato su livelli più alti dello scorso anno, Freuler sta vivendo una seconda giovinezza giocando sui ritmi di Bergamo, tra Moro e Dominguez davvero qualcuno riesce a parlare di mancanze? Poi i contributi di un rigenerato e spensierato Saelemaekers, di Ndoye, di un Orsolini che in molte serate è sembrato imprendibile. Fino ad arrivare al pacchetto arretrato.
È da lì che occorre partire, mischiando fase difensiva e offensiva. 24 giornate e il Bologna è ancora la quarta miglior difesa del campionato di Serie A (per lungo tempo è stata la terza, poi un momento negativo ha portato al sorpasso del Torino). Non è importante l'avversario, la linea di Thiago Motta, i cui titolari possiamo ormai identificare in Posch, Beukema, Calafiori e Kristiansen, difende bene nella propria metà campo, concede pochi tiri e appare sempre molto solida. È l'atteggiamento di una squadra che, senza abbandonare i principi della riaggressione, riesce anche ad attendere gli opponenti sotto palla, in blocco.
Un approccio che parte da Zirkzee, passa agli intermedi ed è guidato da una coppia centrale che non rinuncia mai a staccarsi. Quando il Bologna è in possesso, la costruzione non è dissimile da tante squadre estere di cui si è parlato in modo rivoluzionario. Visualizziamo lo schema in un 4-2-3-1, come si modifica per rompere le linee avversarie?
La difesa ruota la sfera e costringe la squadra opposta a ruotare il blocco con lei. Posch e Kristiansen non si sganciano, uno tra Freuler e Moro si alza, spesso allargandosi insieme a Ferguson. L'obiettivo, a volte, è svuotare la zona mediana del campo per premiare l'inserimento di uno dei due centrali difensivi, e gli esempi non mancano affatto.
Qui si vede bene come il Bologna sia in grado di attirare la pressione del Torino, restare al contempo molto ampio e spaccare a metà la squadra di Juric con i due difensori centrali. Calafiori, centrale di sinistra, dribbla Bellanova, e Beukema, centrale di destra, attacca lo spazio nella voragine granata tra difesa e centrocampo. Al Bologna bastano due passaggi per risalire 80 metri di campo e punire un Torino spezzato in due. E se è forse l'esempio più lampante, non è certo l'unico.
Con la Roma accade qualcosa di diverso, ma il risultato è lo stesso. In 10 metri sono raccolti Posch, Beukema, Ferguson e Freuler, la Roma accorcia con tre giocatori, e quando lo svizzero si sgancia è ormai troppo tardi. Un passaggio breve in profondità spezza la squadra di Mourinho in due; la palla è scoperta e quindi gli esterni attaccano la profondità e i centrocampisti si inseriscono. Il gol di Moro, che attende il momento giusto per attaccare l'area, è soltanto la naturale conseguenza di principi tattici che ora, dopo aver visto la loro riproposizione ogni domenica, sono molto chiari.
Non è l'unica giocata di una squadra in cui nessuno butta via la sfera, in cui non c'è un candidato principale a sganciarsi tra Beukema, Calafiori e Freuler. Il Bologna ha tante soluzioni che rendono divertenti e imprevedibili le sue partite. La ricerca costante di Zirkzee, ad esempio, è una di queste. Se per il talento olandese si sono scomodati paragoni importanti, non è soltanto per le cifre realizzative. Il suo stile di gioco è unico, la sua capacità di protezione della palla in ogni zona del campo è di livello altissimo. Ciò che però lo rende speciale è forse la tendenza naturale ad associarsi con i compagni, le connessioni che sfrutta per finte e giocate che non si addicono comunemente a uno della sua stazza. Ha un'eleganza, ma soprattutto una concretezza nelle decisioni, che attrae gli avversari, sempre più inclini a seguirlo fino a centrocampo per limitarne gli effetti.
La limitazione all'estremo dello spazio vitale di un calciatore ha però sempre conseguenze sulla rete che unisce le maglie di una squadra, e il Bologna di Thiago Motta è ottimo anche nel sfilacciarle in modo repentino.
Gli esterni restano sempre larghi perché quando la sfera si scopre devono attaccare la profondità, preferibilmente in diagonale. In questo caso la Fiorentina è messa male perché attratta da una giocata che non è casuale, che era avvenuta già qualche minuto prima. Il lancio di Ferguson è perfetto e la finalizzazione di Orsolini è frutto di un momento di fiducia che nella squadra rossoblu sembrano attraversare un po' tutti. Non si tratta di una palla lunga nata da una concatenazione casuale di fattori, ma di una situazione generata volontariamente.
Il Bologna è la compagine che effettua più tocchi in Serie A, specialmente nella trequarti difensiva e centrale; non ha necessità di accerchiare l'avversario, sa attenderlo e sa attendere il momento giusto per rompere le linee e diventare in pochi secondi estremamente pericoloso. Il terreno di costruzione è la propria metà campo, il pressing alto avversario è spesso un assist per coprire in breve tempo decine di metri in verticale.
Verticalità, ma pazienza nella ricerca della stessa. Dopo l'Inter, si tratta della squadra che ha portato a termine più sequenze di gioco con almeno 10 passaggi consecutivi. Una realtà in evoluzione che ormai non può essere più considerata un'illusione. Con la vittoria sulla Fiorentina, la squadra di Thiago Motta ha ufficialmente fermato tutte le rivali per l'Europa, tutte le squadre più forti del campionato, dall'Inter capolista al Napoli nono. 42 punti in 24 giornate non sono ancora sufficienti per affermare che i felsinei arriveranno in Europa, ma è ormai chiaro che Motta e i suoi possono sognare un reale piazzamento nella prossima Champions League.