I magnifici di 90min: Agüero, universale
"C'è chi nasce scarafaggio, chi scienziato, chi Santa Maria Teresa di Calcutta. Questi tizi davanti a me, per esempio, sono nati per fare le guardie. E io... io sono nato per fare il ladro". Nel film "Vallanzasca - Gli angeli del male", in un milanese stretto da far impallidire il Dogui, Kim Rossi Stuart sintetizza bene come il destino sappia determinare a monte la strada che un uomo farà.
Sergio Kun Agüero ad esempio è nato per fare l'attaccante, o meglio: tutto ci dice che non avrebbe potuto far altro che quello. Sembra facile poterlo dire oggi, all'indomani del suo prematuro addio al calcio, quando i giochi son fatti e possiamo disporre delle sue più che notevoli statistiche: era però altrettanto semplice prevederlo a metà dei decennio, quando Agüero (allora quindicenne) debuttò nel Club Atlético Independiente nel 2004.
Il viso è quello di un ragazzo, con i tratti somatici che raccolgono molti caratteri diversi, coagulo di provenienze e luoghi lontani, con gli occhi un po' da indios e un po' europei, tratti somatici che si mescolano alla sua struttura d'adolescente in rampa di lancio, la statura un po' bassa ma la stazza di un torello, la velocità di chi è nato per correre dietro a un pallone, la vivacità di chi sta per esaudire il suo sogno.
Anni dopo dirà di sé: "Mi piacciono i 'numeri', e mi piace stupire. Dribblare un avversario e lasciarlo alle spalle è tutto per me. Se raggiungerò ciò che voglio, allora vuol dire che avrò lasciato il segno nella storia del calcio. Sono il Che Guevara del calcio moderno", scegliendo non a caso per descriversi un simbolo di ribellione ma anche in grado di superare i confini, come se il suo essere sintesi di tante culture, tante etnie, fosse una specie di vocazione programmatica della sua predicazione, che nei suoi desiderata sarebbe stata di rottura, rivoluzionaria.
(El Kun che spiega come fare i dribbling i video sotto la neve: c'è qualcosa di più autentico per parlare di calcio? "Ad Adani piace questo elemento").
Agüero in effetti è stato un po' profeta di un certo modo di giocare al calcio, più naturale, meno condizionato dalla necessità di essere collegiali, quasi fosse totalmente frutto di una mescolanza fra l'istinto e i dettami della scuola calcio. Correva sul campo, Sergio (anche se fa strano parlare al passato per uno che a giugno compirà 34 anni), come corre un giovane che sta imparando a muoversi "come si muovono gli atleti", facendo caso che la falcata sia coordinata e fluida, cercando di esser consapevoli di dover far attenzione a esser il più possibile armonici. Ed è sempre stato così, da quando era in Argentina fino a che, dopo aver siglato complessivamente 380 gol in 667 presenze, si è dovuto fermare a causa di una non meglio specificata patologia cardiaca.
Atletico Madrid, Manchester City e per una piccolissima frazione, Barcellona: tre club con storie e tradizioni diverse che ne hanno esaltato, in forme e tempi distinti, il suo voler diventare elemento di rottura nel calcio sempre più vincolato ad aspetti sintetici e lontani dal campo.
Agüero è stato un giocatore non classificabile, difficile da immaginare in un contesto strutturato come quello odierno: guardarlo segnare uno dei tanti gol siglati in Europa è stato proiettare una riedizione di un calcio che sembra essere definitivamente tramontato, dove la forza fisica viene messa al servizio di poche, definitive esigenze, molto concrete e decisamente intuitive, proprio come si immagina questo sport nei campetti di periferia, dove l’organizzazione strutturale viene superata dall’intuizione, dalla ricerca dell’armonia individuale perfetta, dall’esaudirsi di un sogno.
Come ha raccontato egregiamente Matteo Baldini, El Kun è un soprannome che arriva dalla fantasia del nonno, che rivede nel suo nipotino un cartone animato, quello di un bimbo cavernicolo alle prese con la vita della preistoria.
Non sapremo mai se il nonno abbia visto in suo nipote qualcosa di primordiale, e se sì se queste si siano evidenziate nelle movenze, nel linguaggi, oppure nei semplici comportamenti: la cronaca ci parla di una semplice somiglianza fra un bimbo e il suo corrispettivo fittizio, che è già una bella immagine per pensare a un giocatore che ha fatto della gioia di far gol il suo mestiere.
Però qualcosa doveva esserci già allora, altrimenti non si spiegherebbe come quel nomignolo sia diventato così connotante, così azzeccato.
Agüero doveva chiamarsi di secondo nome Lionel, e per una restrizione del registro civile dato dal municipio di Rosario venne battezzato Leonel. Porta il cognome della madre e non del padre (che si chiama Del Castillo), come se la giostra dei nomi lo avesse già destinato alla grandezza, differenziandolo da quelli della sua nidiata.
Al Lionel più famoso, il suo grande amico Messi, lo avvicina il fisico un po' tarchiato e agganciato alla terra, difficile da spostare. Per il resto, i due sono diversissimi, in potenza complementari (anche se lo si potrà vedere solo in nazionale) ma distanti anche nel modo di intendere il rapporto non solo con il pallone (che entrambi gestiscono con riverenza) quando con lo spazio.
El Kun sembrava giocare con una sorta di calamita nel corpo che lo portava in maniera magnetica in avanti verso la porta. La sua gestione del movimento prevedeva linee rette che lo conducevano, inevitabilmente, all'area: poteva tagliare da un mezzo spazio all'altro o percorrerne uno per tutta la sua direttrice, il risultato era il più delle volte comunque sempre un tiro a incrociare, di qualunque forma, statisticamente destinato a infilarsi sul secondo palo.
Chiunque si frapponesse fra lui e la sua destinazione cercava di fermare una massa la cui propulsione non sembrava regolata dalla gravità, un po' come le comete che andavano velocissime seguendo un orbita influenzata da tanti campi gravitazionali e che poteva fermarsi solo colpendo qualcosa.
Il gol forse più famoso che sigla, quello al QPR all'ultimo minuto dell'ultima giornata di Premier League che riporta il City a vincere il campionato, se analizzato nel dettaglio lo mostra bene.
Quando De Jong gli passa la palla, Agüero riceve rientrando dal mezzo spazio di sinistra in posizione centrale. Dopo un mezzo dribbling scarica a Balotelli e poi, come fosse in discesa e lui fosse un masso, comincia a farsi largo per spostarsi sulla destra. Balotelli sta controllando il pallone e lui sta andando di là, si spinge con due avversari, va dritto e quando riceve, salta con la palla un difensore per raggiungere un certo punto, preciso, che conosce solo lui.
Poi, arrivato al punto che si era prefissato, solo allora tira. Sappiamo come va a finire, con il Manchester City campione e la storia sua, di Mancini, di Balotelli e di tutti quelli che giocano lì che probabilmente cambia per sempre.
Rimaniamo con lo sguardo su di lui. Val la pena sottolineare che quel modo di stare in campo, di correre, di affermare la propria presenza espandendo la propria potenza fisica al di là della propria massa, è un qualcosa che gli appartiene da sempre.
Nel 2009 Agüero gioca nell'Atletico e durante un derby di Madrid (perso poi per 3 a 2 in casa dai Colchoneros): Cléber Santana ruba un pallone a Lass Diarra e lo lancia lungo sull'half space di destra.
El Kun, subentrato al 45' a Jurado, prende velocità e arrivato alla trequarti trova sulla sua strada Pepe.
Il portoghese presume di poter fare ciò che fa di solito in questi casi, ossia sbattere di prepotenza via il suo avversario. Invece prende un colpo e rimbalza, letteralmente, prima di cadere per terra e guardare l'argentino incrociare con un rasoterra, battendo Casillas.
Nel video del gol al Real, Agüero ha 21 anni e tutta la carriera davanti.
Quando quest'estate passa al Barcellona non si sa ancora che Messi andrà al PSG e il problema cardiaco che lo farà smettere ancora non si è palesato.
Il canale culè Wouva lo ha celebrato a giugno con un video in cui ha racchiuso i suoi 260 gol con il Manchester City.
Solitamente questi video sono accompagnati da canzoni campionate, rumorose, che sottolineo anche a livello sonoro la rottura che certi giocatori hanno sul gioco.
Per quello di Agüero, l'autore sceglie un tappeto musicale alla Sigur Rós, ambientale, adatto forse più a un giocatore leggero, etereo, meno straripante e più fantasioso.
Non è un presagio funesto, quanto una celebrazione che oggi sembra essere ancora più adatta per un calciatore che, come altri del decennio, forse non ha potuto esser celebrato come doveva, complice l'attenzione esasperata e polarizzante del duo alieno Messi e Cristiano.
Un calciatore che ci dovremo abituare a non veder più correre in quel modo tutto suo, a giocare in quel modo unico, che però era in grado di ricordare il calcio più autentico, quello che vedi nelle gambe di tutti i bambini del mondo che sognano di fare di questo sporto la propria vita.
Agüero si è ritirato da una settimana ma per noi è già fra gli Invincibili.
Grazie di tutto, Kun.